Anche questo Natale è arrivato, ed arriva in un momento molto complicato per la storia dell'umanità: sembra essersi interrotto il percorso che sembrava inarrestabile verso il progresso e la felicità dei popoli.
Siamo faticosamente usciti, forse, da una terribile pandemia mondiale per ripiombare nell'incubo di una guerra nel cuore dell'Europa che minaccia la sicurezza planetaria.
In alcuni paesi dittaure violente umiliano le donne che reclamano diritti inviolabili e soffocano le proteste nel sangue.
Non è un Natale qualunque, è un difficile Natale.
Per questo non abbiamo voluto sorvolare, non abbiamo vouto rinunciare a rimanere ancorati alla nostra realtà più vicina, quella catanese, la nostra: anch'essa non facile seppure possa apparire un paradiso rispetto ad altri luoghi di questo pazzo mondo.
Anche nella nostra antica Catania, otto volte distrutta ed otto volte ricostruita, gli angoli di disagio si moltiplicano e risultano sempre più evidenti, esibiti a scandalo di una società sempre meno giusta, sempre più in pericolo.
Per questo, qiundi, anche e forse soprattutto in questo giorno di Natale manteniamo il focus sul dibattito cittatino: ancora troppo debole.
E la parola la diamo proprio a Dario Riccioli che su queste pagine ha avuto il coraggio di provare ad aprirlo questo benedetto dibattito: perché ci vuole coraggio anche a fare una cosa simile in una città ormai incattivita, preda di speculatori e cannibali che non possono tollerare il merito, per i quali avviare ragionamenti rappresenta un pericolo per i loro squalliìdissimi affari.
Si diventa bersaglio quando si espongono idee, anche solo la voglia di provare a trovare qualche soluzione, anche solo come dichiarazione di resistenza, di non assuefazione.
Buon Natale.
(PDR)
Caro Direttore,
in questi giorni di festa, CATANIA si è illuminata dei colori tipici del Natale e la gente, finalmente, è ritornata per strada, dentro i negozi e nei ristoranti, felice di potere nuovamente incontrare i propri parenti ed amici, dopo due anni di pandemia.
Purtroppo, in questi giorni sempre di più e sempre più frequentemente incrociamo uomini e donne che, seduti all’angolo di una strada, vicino ai monumenti storici, alla Stazione o sotto i portici di corso Sicilia, chiedono un aiuto ai passanti perchè sono senza lavoro, senza una casa: senza una famiglia con cui trascorrere il Natale.
Per alcuni tra loro vivere in questo modo rappresenta una scelta, una sorta di protesta contro le convenzioni più diffuse che vedono l’individuo inserito in un contesto lavorativo, con una casa e una famiglia, preferendo una vita non preordinata ma “alla giornata”, con frequenti spostamenti da un luogo all’altro senza alcuna forma di sostentamento, se non l’elemosina o qualche espediente.
In questi casi, non è possibile tollerare gli atteggiamenti petulanti o, a volte, minacciosi, rivolti ai passanti che si rifiutano di offrire loro un obolo, che verrà speso per comprare alcool o, peggio, le droghe.
Per altri invece, vivere per strada senza casa rappresenta una condanna e una conseguenza di numerose problematiche, come ad esempio la perdita del lavoro, lutti, la separazione o le precarie condizioni economiche.
Per alcuni di noi, il pensiero di finire per strada, senza lavoro, senza casa e senza una famiglia costituisce un pensiero impossibile, quasi un’esperienza che capita ad altri, ma che non potrebbe mai toccare le persone cosiddette “normali”.
Invece, ascoltando le parole di coloro che si trovano in questa situazione di disagio viene automatico pensare come possa capitare veramente a tutti di finire dimenticati ai margini della società, soprattutto negli ultimi anni in cui la logica del profitto e l’egoismo generalizzato hanno reso tutti più cinici e poco attenti a cosa succede alle persone vicine.
Poco tempo fa, mentre camminavo sotto i portici di corso Sicilia, a CATANIA, mi sono imbattuto in un signore, vestito con giacca e cravatta, barba lunga, seduto sopra un cartone; con sè un cartello con la scritta “Sono un imprenditore. La mia ditta è fallita. Vi supplico un aiuto per sopravvivere”.
Se solo avessimo la pazienza di ascoltare, capiremmo come le storie dei senzatetto si assomigliano un po’ tutte: vi sono ad esempio manager brillanti o impiegati modello che, a seguito della chiusura della loro azienda, rimangono senza lavoro in un’età in cui è difficile inserirsi nuovamente e gli ammortizzatori sociali non sono sufficienti a restituire la serenità di un tempo.
Oppure vi sono uomini o donne che, a seguito di lutti o di divorzi, perdono la stabilità di un tempo e non riescono più a rientrare nel mondo del lavoro.
O, anche, imprenditori o liberi professionisti, strozzati dai debiti, che decidono di mollare tutto e vivere sulla strada, come una forma di resa senza condizioni.
La mensa dei poveri della CARITAS, vicino la Stazione Centrale (così come la Locanda del Samaritano, il Convento delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, ovvero delle Suore Missionarie della Carità) rappresentano vere istituzioni e un aiuto concreto non solo per i senzatetto, ma anche per tutti coloro che, avendo difficoltà economiche, non hanno la possibilità di mangiare un piatto caldo.
“Dare da mangiare agli affamati” non rappresenta, dunque, solo l’osservanza di un principio religioso, ma è una delle forme più alte di solidarietà e di civiltà.
Ma non solo l’offerta di cibo: tra gli aiuti per i senzatetto vi sono anche gli alloggi gratuiti, anch’essi gestiti dalle associazioni di volontariato o dalle parrocchie.
Nei mesi scorsi, dopo lo scoppio della guerra in UCRAINA, causata dall’invasione russa, CATANIA è stata protagonista di una gara di solidarietà: sono molte le strutture che hanno dato ospitalità a bambini ucraini orfani, ovvero a nuclei familiari.
Ciò è accaduto, anche, grazie al contributo di privati cittadini che, in silenzio, hanno manifestato la loro solidarietà.
Per esempio, la Fondazione YMCA di CATANIA ha fornito assistenza a 17 tra bambini e bambine orfani ucraini, ospiti presso un Convento di Suore nel territorio catanese.
Caro Direttore, tra gli impegni che la futura amministrazione comunale dovrà assumere, vi sarà inevitabilmente quella di (ri) dare dignità a queste persone che, per mille motivi, si sono ritrovati senza lavoro, casa e famiglia.
Inoltre, il futuro Sindaco di CATANIA dovrà prevedere la realizzazione di alloggi per i senza tetto, organizzati come dei veri e propri rifugi e centri specializzati.
L’iniziativa potrà prevedere, anche, la destinazione di immobili confiscati, da arredare in parte con sovvenzioni pubbliche e, in parte, con aiuti privati. In tale maniera, si garantirà a ciascuno di loro di usufruire di altri servizi indispensabili come la mensa, i servizi igienici e la distribuzione di coperte e altri generi di prima necessità. Oltre all’assistenza sanitaria.
Occorrerà creare una vera e propria rete di protezione sociale per favorire il recupero e l’integrazione con la comunità locale delle persone che vivono in strada.
Ciò potrà avvenire utilizzando i fondi europei, per siglare la collaborazione operativa tra i Servizi Sociali del Comune di CATANIA, con le Aziende Sanitarie Locali e le organizzazioni del cd. Terzo Settore.
Un vecchio proverbio (attribuito, forse, erroneamente a Confucio) recita “Dai un pesce a un uomo e lo sfamerai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo sfamerai per tutta la vita”.
Questo proverbio spiega una verità fondamentale: soddisfare un immediato bisogno fisico può avere un valore limitato.
È molto meglio aiutare le persone ad imparare a risolvere i problemi ed a soddisfare le proprie necessità.
Caro Direttore, limitarsi a prestare esclusivamente assistenza a queste persone sfortunate, non cambierà il sistema delle cose: non darà loro quella dignità che ogni uomo e donna meritano.
Per tale ragione, la futura Giunta Comunale di CATANIA, dovrà sviluppare un modello di gestione dei servizi sociali finalizzato, non solo all’assistenza ma anche all’integrazione - di chi è stato meno fortunato - all’interno del sistema economico cittadino, offendo loro di partecipare al ciclo produttivo che verrà generato solo da chi avrà una visione europea della nostra CATANIA.
Non possiamo fermare il vento, però possiamo imparare a costruire i mulini: solo così, con l’aiuto di tutti, anche dei meno fortunati, CATANIA vivrà un giorno nuovo.
Un caro saluto e buone FESTE.
Dario Riccioli
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