Il "caso", tanto per cambiare, lo fece esplodere Sudpress nel lontano 2015 e suscitò parecchio scombussolamento all'interno dell'Università di Catania.
Chi non la lesse allora o non la ricorda, ci dia una lettura: è davvero interessante e non è l'unico caso di centinaia di migliaia di euro pubblici che nell'ateneo catanese hanno preso strade tortuose e poi si sono persi.
In questo caso almeno una parte pare si possa recuperare.
Si tratta della famigerata "Torre Biologica" di via Santa Sofia, su cui tra qualche giorno offriremo una piccola "curiosità".
Quante decine di milioni di euro costò costruirla ancora non si è del tutto capito e fra tutti gli sprechi spiccò la vicenda di cui ci occupammo nel 2015 e su cui adesso, a distanza di oltre 6 anni dalla nostra denuncia e quasi 10 dal fatto, si è abbattuta pesantemente, anche se parzialmente, la scure della Corte dei Conti.
In estrema sintesi: l'appalto venne aggiudicato nel 2008 alla SIGENCO che, per ottenere la liquidità necessaria a sostenere i lavori, cedette ad una banca il credito relativo al contratto.
Procedura del tutto normale, come normali i pagamenti effettuati a stato di avanzamento lavori dall'amministrazione universitaria sul conto corrente indicato dalla banca creditrice, almeno sino al 21° SAL.
Ad un certo punto infatti, nel 2012, uno di questi mandati di pagamento, per ben 856 mila euro, "sfugge" in maniera alquanto rocambolesca alla procedura regolare e comporta un corrispondente danno: quasi un milione di euro che in pratica vengono pagati due volte.
È una storia gustosa e si ribadisce l'invirto a rileggerla perché sintomatica di quanto accade nella "pubblica amministrazione"...
Veniamo ai giorni nostri: il 24 settembre viene depositata la sentenza 950/2021 della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Sicilia.
Presidente del Collegio Giuseppa Maneggio, Relatore Salvatore Grasso, giudice Gioacchino Alessandro.
Il giudizio di responsabilità era stato iscritto dal Procuratore regionale nei confronti di 5 dipendenti dell'Università di Catania: Giuseppe Verzì (il condannato), Lucio Maggio (la "vittima"), Federico Portoghese, Margherità Zappalà e Agata Buttà (i "graziati").
Nella sentenza si legge che il procedimento, incardinato nel 2020, nasce da una denuncia presentata dall'allora direttore generale Lucio Maggio il 22 maggio 2015.
Nonostante sia stato lui stesso a denunciare, Maggio viene coinvolto nel processo contabile per una supposta responsabilità di omesso controllo nella qualità di direttore generale: la sua difesa, composta dagli avvocati Attilio Toscano e Giovanni Immordino ha dimpostrato in corso di causa che quel controllo gli venne sottratto ed appresi i fatti provvide a denunciarli. Per questo è stato prosciolto e gli è anche stato riconosciuto il diritto al risarcimento delle spese legali sostenute.
Lo definiamo "vittima", riconosciuta tale dal Giudice tanto da essere risarcita, soprattutto per il fatto che avendo denunciato la malversazione ha dovuto subire egli stesso un processo non certo gradevole.
Veniamo ai "graziati" Portoghese, Zappalà e Buttà, per i quali la Procura contabile aveva chiesto la condanna ad oltre 128 mila euro ciascuno.
Nella ricostruzione della Corte si ricorda quanto segnalato da Sudpress in ordine al mandato "incriminato" che veniva liquidato addirittura prima che venisse protocollata la lettera (consegnata a mano ed indirizzata a Verzì e Portoghese) con cui SIGENCO chiedeva il pagamento su un conto scorretto: degli indovini.
Non risultano risvolti penali nella vicenda e la Corte dei Conti ha preso atto che nel caso di Portoghese, Zappalà e Buttà, risultavano scaduti i termini per l'esercizio dell'azione risarcitoria e quindi sono stati di fatto "graziati".
L'unico condannato risulta quindi Giuseppe Verzì, ora in pensione, al quale vengono chiesti 342.471,46 euro.
La sentenza, di 32 pagine, sarebbe bene leggerla e la mettiamo a disposizione:
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