Patrizia Monterosso ha il profilo tipico del capro espiatorio: è manifestamente intelligente, all'evidenza elegante e bella ed è soprattutto vertice istituzionale donna in un Palazzo perlopiù abitato ed agitato da uomini. Quando tutte le colpe d’improvviso si vogliono caricare sul groppone di qualcuno, viene sempre il dubbio che quel qualcuno forse non ha soddisfatto la smania di ingordo potere di uno dei tanti sedicenti domine e dio che frequentano Palermo e nel caso del segretario generale della Regione appare sempre più chiaro il tentativo di colpirla, si direbbe nelle rubriche processuali, a scopo d’estorsione. La Monterosso decide troppo, ha troppa influenza, è troppo vicina a Crocetta, no anzi tiene ancora i rapporti con i vecchi amici dei passati governatori, filtra col nemico, no anzi lavora per se stessa, si starà candidando alla presidenza della Regione, farà un suo partito, e chi più ne ha più ne mette. Tutti la corteggiano, pochi la amano, molti la temono! La vicenda della Monterosso sembra quindi in linea con la tendenza al femminicidio, questa volta istituzionale, che si registra nella nostra società violenta. Qualcosa però non quadra; e se ci trovassimo semplicemente di fronte ad un funzionario capace, preparato ed indipendente? Sono queste le ragioni per cui occorre colpirla? Ma, ciò che preoccupa di più e che connota l’azione in corso come un’azione inammissibile, pericolosa e certamente da contrastare è addirittura il ricorso alla mozione di sfiducia per far fuori non un politico bensì un funzionario. La mozione è, infatti, chiaramente irricevibile e soprattutto è un atto di stalking istituzionale, poiché è noto a tutti come viga il principio di separatezza tra la politica (governo o parlamento che sia) e l’amministrazione, intesa quest’ultima come il corpo dei dipendenti che compone la macchina organizzativa di una qualsiasi istituzione. Questo principio è sacro ed attiene direttamente ad una prerogativa costituzionalmente garantita, a tutela cioè della indipendenza del funzionario dal politico di turno. Il dipendente deve, chiaramente, essere leale all’istituzione e non già fedele al capopartito pro-tempore. Se passasse la minaccia della mozione di sfiducia verso chi non si mostrasse prono al potere avremmo come conseguenza una sorta di pistola puntata contro la libertà di cui devono godere i pubblici funzionari. La presidenza dell’Assemblea starebbe, quindi, avventurandosi a trattare una materia che i costituzionalisti definiscono non disponibile, nel senso che appunto è fatto divieto al Parlamento di occuparsi del personale dipendente della regione con iniziative che all’evidenza saporano di punizione verso chi non corrisponde, per così dire, a quella disciplina che qualche furbetto pretenderebbe. La Presidenza dell’Assemblea, ci auguriamo, non vorrà portare ad un punto così degradante il consesso dei parlamentari e piuttosto vorrà distinguersi per la sua capacità di fare le leggi, che è poi il compito alto per il quale esiste e per il quale viene mantenuta dai siciliani.