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Quando tutto sarà finito

29-03-2020 03:31

Aldo Premoli

Cronaca, lampioni,

Quando tutto sarà finito

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È difficile pensare oggi che, al termine dell’emergenza, tutto tornerà come prima.



I più cinici potrebbero sostenere che l’essere umano ha una memoria poco diversa da quella di un pesce rosso chiuso dentro a una boccia: secondo alcuni 3 secondi, secondo altri 5 mesi al massimo.



Gli scettici sosterranno che “sarà tutto uguale a prima, solo un po’ peggio”. Ma cinismo e scetticismo nella situazione attuale risultano atteggiamenti completamente fuori registro.



Perché quello che stiamo sperimentando è invece una straordinaria trasformazione, e insieme un deciso rallentamento.



Il tempo. La sua esperienza è in questi giorni ambigua: ne abbiamo a disposizione tantissimo, eppure sembra finire in fretta.



La concentrazione. Questi momenti di quiete forzata dovrebbero essere propizi, eppure spesso vacilla.



L’efficienza. Mentre c’è chi lavora allo stremo (il personale medico) c’è chi è forzatamente immobile: la sensazione è che  in futuro non avrà niente a che fare con quella a cui siamo stati allenati sino ad oggi.



Stiamo cambiando. Il virus sta cambiando il contesto in cui viviamo. Tutto sembra invecchiato repentinamente: i luoghi comuni ancorati al passato (seppure prossimo) non reggono più.



Manteniamo sotto controllo il deficit ! Attenzione allo spread ! Operiamo i necessari tagli di spesa (alla sanità, alla scuola, allo stato sociale tutto)!”. E ancora: Alziamo i muri! Stendiamo filo spinato! Chiudiamo i porti!… suonano oggi come tristi pagliacciate, seppellite da un nemico invisibile capace di adattarsi a tutto, di sfuggire a tutti, di infilarsi ovunque, seminando paura e morte.



Ci appaiono sempre più lontane le carambole dei parolai- questi sì dotati di una memoria da pesce rosso - che in ogni regione, nazione e continente  - cambiano da un giorno all’altro versione, o invettiva, rincorrendo sempre in ritardo i guasti terribili provocati dal virus.



Usciremo da questa situazione. Ne usciremo. Quando? Non lo sa nessuno, ma il Covid-19 sarà messo in gabbia da un qualche vaccino scovato in Cina, in Giappone, negli Usa o a Napoli: non importa dove purchè arrivi il più presto possibile.



Il virus ci sta insegnandoche  ciò che un attimo prima ritenevamo immutabile può invece non esserlo più. Il virus ci ha ricordatoche siamo fragili e quando è il caso occorre saper fare un passo di lato e fermarsi a riflettere.



Ne usciremo grazie alla scienza.Viviamo in un mondo globalizzato e le migliori menti della nostra specie stanno reagendo.



Il virus ci sta insegnandoche siamo tutti nella stessa barca. Piaccia o meno. Il virus ci sta insegnando che dobbiamo rispondere all’emergenza in maniera ordinata e coordinata. Di più. Il virus ci sta insegnando che è assolutamente necessario un centro di coordinamento unico per affrontare questa guerra.



Perchè il Covid-19 non è un’eccezione. Altri dopo di lui sono attesi per il prossimo inverno: attesa che i virologi in realtà conoscono da anni. Le prove generali ora le abbiamo fatte, sono dolorose e – se la memoria del pesce rosso non prevale – saremo forse meglio preparati alla prossima  evenienza.



Abbiamo però bisogno di una Global Health Care: lo scambio di competenze medico-scientifiche all’interno di una sola nazione o addirittura di una sola regione è pura follia. E non si tratta di un senso astratto di solidarietà, ma del più stretto interesse personale. La consapevolezza deve essere comune. Se la nazione confinante non aiuta la nazione infettata sarà presto infettata a sua volta. L’idiozia dimostrata dai nazionalismi europei (ieri i Paesi est europei con i migranti, oggi quelli nord europei con Italia e Spagna) lascia esterrefatto anche me che sono un europeista convinto.



Il virus ci ha insegnato che decisioni come questa non possono essere lasciate in balia di interessi puramente economici, nazionalismi o regionalismi primitivi: non c’è porto, non c’è muro non c’è filo spinato che lo possa fermare.



Dal virus abbiamo ricevuto in questi giorni una lezione di modestia senza precedenti. Quando tutto sarà finito non dimentichiamola.


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Aldo Premoli, milanese di nascita, vive tra Catania, Cenobbio, New York e Washington, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1980 e il 1982 collabora con le riviste “Belfagor” di Luigi Russo e “Alfabeta” di Nanni Balestrini. Giornalista professionista, tra il 1989 e il 2000 dirige il periodico specializzato nel settore tessile abbigliamento come “L’Uomo Vogue”. Nel 2013 e 2014 dirige “Tar magazine”, rivista di arte scienza ed etica. Blogger di “Huffington Post Italia”, “Artribune”. Ha pubblicato libri di saggistica ed è tra i fondatori dell’Associazione Mediterraneo Sicilia Europa e il Centro Studi sulle migrazioni che porta lo stesso nome. Dirige il tendermagazine Sudstyle.



 


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