Lo abbiamo già visto e raccontato come il "potere" reagisce quando viene beccato con le mani nella marmellata: in maniera scomposta, a volte patetica, non di rado volgare e violenta
Minaccia, querela, trasferisce, licenzia: il più delle volte si tratta di omuncoli dall'aspetto triste che fuori dalle stanze che li prottengono appaiono smarriti, camminano spesso curvi, con le spalle al muro, quasi si aspettassero che qualcuno riconoscendoli gli possa sputare addosso o urlargli: "VERGOGNA!"
A volte, al contrario, sono talmente tronfi nella loro spudoratezza da mostrarsi petto in fuori, capello tinto, interviste surreali continuando ad accumulare incarichi e medaglie con cui continuare a far danni.
Una comunità matura e civile non dovrebbe avere bisogno delle sentenze penali per valutare, e sanzionare socialmente, i comportamenti di chi assurge ad essere "classe dirigente" e ne utilizza le prerogative ad uso personale.
Se ad esempio, come si legge nelle intercettazioi, ci si trova di fronte ad un personaggio che per tentare di estorcere "benevolenza" a chi ne racconta le malefatte su un giornale arriva prima ad offrire un improprio vantaggio e poi a minacciare e licenziarne una parente, non occorre una sentenza penale per valutarlo il verme che è!
Questo vale in generale, ci mancherebbe, non certo per quanto è accaduto e sta accadendo all'Università di Catania, dove è già scattata l'Operazione Normalizzazione, detta anche Operazione Silenzio o meglio ancora "Tutti per uno uno per tutti".
Il fatto è noto ed ha fatto il giro di tutta la stampa locale, regionale e nazionale.
Televisioni, tele e radiogiornali, i maggiori e minori quotidiani e periodici stampati e praticamente tutte le ttestate on line hanno dato la notizia che è, non solo per Catania, notizia dell'anno: i massimi esponenti della governance dell'Università etnea degli ultimi anni sono stati tutti rinviati a giudizio e l'ex pro rettore Giancarmo Magnano di San Lio addirittura già condannato.
Di questo ci siamo occupati e, ovviamente continueremo a seguirne gli sviluppi, ricordando sempre che gli esiti processuali ci interessano sino ad un certo punto: sono i fatti accaduti e la loro verità storica ed inconfutabile che dovrebbero interessare alla società civile. Se sono reati o meno ha importanza certo, ma secondaria.
Quello che ci preme segnalare oggi è, dicevamo, il modo in cui il "potere" o "poterucolo" prova a gestire i delicati momenti in cui rischia di essere messo in discussione.
Un esempio abbastanza eloquente, per restare nell'ambito di Unict, lo raccontammo nel 2015.
In quell'occasione pubblicammo alcuni documenti che svelavano spese di denaro pubblico che meritavano qualche risposta ed invece l'allora rettore Giacomo Pignataro, poi decaduto ed attualmente imputato, emanò una nota che merita di essere riletta perché è proprio significativa.
Quella modalità davvero sfacciata, esagerata, proterva. Minacciare e pretendere indagini disciplinari in una istituzione che quando deve neanche si costituisce nei procedimenti penali che ne ledono altissimi interessi come quello alla reputazione è davvero il non plus ultra della spudoratezza.
Oggi il tentativo di normalizzazione di fronte agli esiti devastanti del primo giudizio arrivato su "Università Bandita" con condanna e rinvii a giudizio è quantomeno un tantino più sottile, ma non meno grave e disdicevole.
Vediamo come hanno gestito "l'informazione" relativa alla condanna e rinvii a giudizio per "Università Bandita".
Preliminarmente chiariamo che gli uffici stampa negli enti pubblici non sono strutture al servizio di chi comanda pro tempore, ma veri e propri servizi pubblici che hanno lo scopo ed il dovere di informare compiutamente i destinatari del servizio stesso.
Quando tra l'altro a capo di queste strutture vi sono iscritti all'albo dei giornalisti scatta anche l'obbligo deontologico di diffondere la verità e di non omettere i fatti, obblighi ad esempio che non ha la figura del portavoce che, al contrario, assume il compito di promuovere e propagandare ciò che è utile al proprio cpmmittente.
L'Università di Catania spende non pochi denari pubblici per realizzare e diffondere ogni mattina a tutti i suoi dipendenti, migiliaia di persone, una rassegna stampa gestita sino al marzo 2021 dalla società esterna milanese Mimesi.
Il costo nel 2020 è stato di 4.819 euro ed il sevizio viene definito di "monitoring".
Come sia gestito adesso dall'ateneo il servizio di rassegna stampa non è noto.
Il servizio, semplifichiamo, viene effetuato utilizzando sofisticati software che vengono istruiti inserendo nei loro motori di ricerca delle "keywords", parole chiave di interesse che consentono di individuare la fonte che le cita.
In questo caso, ad esempio, il programma cerca "Università di Catania" e fornisce tutte le fonti che sul web riportano quella determinata keyword.
La notizia della sentenza di condanna e rinvio a giudizio per "Università Bandita" è stata diffusa nel primo pomeriggio del 22 settembre e tutta la stampa nazionale l'ha rilanciata.
La "rassegna stampa" di Unict avrebbe dovuto quindi registrarla nelle giornate del 23 e 24.
Vediamo.
Nella giornata del 22 settembre la rassegna stampa cura da Nemesi e gestita dall'Ufficio Comunicazione di UNICT è composta da ben 74 pagine e riporta notizie di ogni genere presenti sui più svariati giornali cartacei e on line.
La notizia della sentenza, di indiscutibile rilevanza per la comunità universitaria, oltre che per l'intera comunità, viene relegata a pagina 13 e tra le centinaia di articoli publbicati tra il 22 ed il 23 sceglie di informare la comunità accademica segnalando UN SOLO ARTICOLO, quello pubblicato da La Sicilia a firma di Orazio Provini, che tra l'altro ha un titolo significativo "UNIVERSITA' BANDITA" 9 DOCENTI A GIUDIZIO MA IL GUP ESCLUDE IL REATO ASSOCIATIVO". Quel "ma il GUP esclude il reato associativo" tende a sottolineare un aspetto mitigante le accuse che rappresenta una precisa scelta rispetto al fatto che c'è già una condanna e rinvii per corruzione, abuso e turbativa.
Il fatto più rilevante è comunque che la "rassegna stampa" di un ente pubblico omette completamente tutte le altre fonti giornalistiche e relega la notizia più importante per l'ente stesso a pagina 13.
Ancora più interessante quello che accade il giorno successivo, il 23 settembre, giornata dell'apotesosi informativa sul fatto.
Bene, la "rassegna stampa" di UNICT si compone di ben 96 pagine e per la notizia della sentenza seleziona, tra le centinaia che se ne sono occupate, due sole testate, La Sicilia e la Gazzetta del Sud, decidendo per di più di relegarla a pagina 42 e 43.
Tutto questo è grave perché dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, l'uso distorto e personalistico di funzioni e servizi pubblici e, ancor più importante, il modo in cui viene utilizzata l'informazione che, quando viene strumentalizzata, comprata, corrotta, asservita, mistificata, alterata, omessa, diviene ancella colpevole di un potere che prova a mettersi al riparo dalle valutazioni della Pubblica Opinione, senza l'attenzione e la reazione della quale qualsiasi potere scivola inevitabilmente nell'autoreferenzialità, nell'eccesso, nella corruzione, nell'abuso.
E gli effetti, li vediamo sulla nostra pelle e su quella delle future generazioni, è lo scivolamento agli ultimi posti in tutte le classifiche mondiali, in qualsiasi settore, dalla sanità alla formazione, dalla sicurezza al decoro urbano.
Anticamere della miseria economica e morale in cui siamo precipitati oltre che cause di probabili disordini sociali che prima o poi arriveranno.