Commissioni del 5% sul valore di ogni bando pilotato, un giro di mazzette su appalti del valore complessivo di circa 600 milioni di euro, e un sistema corruttivo ormai consolidato attorno alle gare d'appalto indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dell'Asp 6 di Palermo. Questi gli elementi principali che sono emersi dalle indagini dell'operazione "Sorella Sanità". Il quadro che ne risulta dipinge una situazione gravissima, ma con protagonisti forse non così "inaspettati". Cerchiamo di scoprire perchè.
L'operazione "Sorella Sanità" sta scuotendo, fin dalle prime ore di ieri, le fondamenta stesse della nostra regione. E ciò che è emerso da queste indagini, portate avanti nel corso di diversi anni dalla Guardia di Finanza di Palermo, lascia spazio a ben pochi dubbi: almeno quattro gare d'appalto pubbliche - indette a partire dal 2016 - nel campo della sanità regionale sono state truccate.
Le complesse indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Economico - Finanziaria delle fiamme gialle palermitane – svolte con l’ausilio di videoriprese, appostamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, esami documentali dei flussi finanziari - hanno comprovato l'esistenza di un sistema criminale testualmente definito come "spregiudicato" e "considerato ormai automatico".
E la spregiudicatezza si evince distintamente anche dalle parole sprezzanti, ormai irrimediabilmente immortalate, di uno dei principali "pezzi grossi" finiti al centro di questo scandalo: Antonino Candela.
Difatti l'ex commissario straordinario e amministratore dell'Asp 6 di Palermo, e recentissimo neo coordinatore della struttura Regionale per l'emergenza Coronavirus, soleva vantarsi in questo modo al telefono: "Ricordati che la sanità è un condominio, io sempre capo condominio rimango".
Il sistema corruttivo che è stato scoperchiato era ormai consolidato da tempo, e prevedeva la presenza di faccendieri che, di comune accordo con i pubblici ufficiali - come il già citato Antonino Candela - divulgavano informazioni riservate - in cambio di "mazzette" - agli imprenditori da favorire.
In questo modo, conoscendo in anticipo i criteri della gara - e quindi il valore dell'offerta da presentare - l'azienda che "doveva vincere", "magicamente" vinceva. E' stato comprovato che questo sistema corruttivo abbia coinvolto almeno 7 aziende con sedi in Sicilia e in Lombardia, e almeno 12 persone, tutte sottoposte nella giornata di ieri alle dovute misure cautelari.
Nello specifico, gli indagati sono: Fabio Damiani (55 anni), Salvatore Manganaro (44 anni), Antonino Candela (55 anni), Giuseppe Taibbi (47 anni), Francesco Zanzi (56 anni), Roberto Satta, Angelo Montisanti (51 anni), Crescenzo De Stasio (49 anni), Ivan Turola (40 anni).
In ultimo, ma non certo ultimo, tra i nomi che sono emersi nel corso dell'indagine spicca anche quello di Salvatore Navarra.
Lo stesso Salvatore Navarra di cui vi avevamo già parlato nel dicembre del 2018.
Lo stesso Salvatore Navarra presidente della PFE, la ditta per i servizi di assistenza alla didattica che si è aggiudicata, meno di due anni fa, la gestione dell'Unict con un appalto che avevamo dimostrato essere, carte alla mano, ingiustificatamente triplicato di valore da un anno all'altro.
Lo stesso Salvatore Navarra la cui ditta è stata aggiudicata vincitrice del Bando dell'Unict nonostante non fosse stata ricevuta dalla Prefettura la documentazione circa la certificazione antimafia, e che al tempo stesso era ufficialmente indagato nell'inchiesta "Sistema Montante".
Anche questo uno dei troppi misteri che aleggiano sull'Ateneo catanese e sui quali, a quanto pare, è così difficile fare chiarezza.
Come abbiamo già rimarcato abbastanza non si tratta di un caso di omonimia, perchè si, sulla carta sarebbe anche possibile, ma non fino a questo punto.
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