Sono giorni di attesa per Luca Priolo, il ragazzo reo confesso dell'omicidio, il 6 ottobre del 2015 di Giordana Di Stefano con 48 coltellate, di cui 7 al volto, alla gola, all'addome e al torace. Un omicidio compiuto con efferatezza e per il quale il Pm Alessandro Sorrentino e il difensore della famiglia della vittima, Ignazio Danzuso, hanno richiesto l'ergastolo per l'imputato nonostante il rito abbreviato. Diverse invece le richieste dell'avvocato dell'omicida, Dario Riccioli. Il penalista lo scorso 20 giugno durante la sua discussione ha avanzato richiesta di riconoscimento delle attenuanti e la riduzione massima della pena prevista dal rito processuale. Slitta ancora una volta la sentenza del giudice Rosa Alba Recupido, fissata per il 7 novembreGiordana è stata uccisa a soli vent'anni da un ragazzo che precedentemente diceva di amarla e dal quale ha avuto una bambina. Qualche giorno prima del delitto i due ragazzi avevano festeggiato insieme il compleanno della piccola, evento che avrebbe dovuto confermare, secondo la difesa dell'imputato, una nuova presunta relazione tra i due. Alla base del delitto ci sarebbero le richieste di Luca Priolo riguardanti l'affidamento della figlia e il ritiro della denuncia per stalking fatta dalla ragazza nel 2013. L'omicida non a caso ha sempre cercato di giustificare il folle gesto come un "raptus d'ira improvviso" incrementato da un eccesso di gelosia. Dopo aver commesso l'omicidio il ragazzo si è dato immediatamente alla fuga, lasciando Giordana agonizzante nella sua Audi 2 in una strada isolata nei pressi di Nicolosi, provvedendo a far sparire anche l'arma del delitto. Luca Priolo è stato successivamente arrestato a Milano, città dalla quale voleva raggiungere la Svizzera, e quindi ha ammesso le proprie responsabilità. Ad incastrarlo è stato l'invio di un messaggio: "Aiutatemi, ho bisogno di soldi". Il ragazzo quel fatidico 7 ottobre avrebbe cercato rifugio anche da alcuni parenti che vivono al nord Italia senza però avere successo. Durante questi anni sono diversi i fatti giuridici susseguitesi come l'inizio del processo per stalking, tenutosi il giorno dopo la morte di Giordana. La fase successiva invece ha visto il trasferimento del procedimento a Messina al fine di evitare eventuali pregiudizi dovuti a situazioni locali e atti persecutori che, secondo la difesa di Luca Priolo, sarebbero stati commessi dalla famiglia della vittima. Il ragazzo nel novembre del 2016 aveva addirittura manifestato delle tendenze suicide, causate da una forte crisi depressiva e ansiosa tanto che i suoi legali avanzarono al Gip la prima richiesta di arresti domiciliari nella comunità di Don Mazzi, rigettata subito dopo. Determinanti nel dibattimento processuale, trasferito nuovamente al Tribunale di Catania, sono state le perizie depositate dallo psichiatra Gaetano Sisalli e dalla psicologa Federica Di Fazio. I due periti nominati dal giudice Recupido hanno confermato la tesi sempre sostenuta dai consulenti della difesa, i dottori Maria Costanzo e Giuseppe Catalfo: Luca Priolo non è mai stato affetto da problematiche di carattere emotivo e neanche da una gelosia patologica. L'omicida sarebbe sempre stato capace di intendere e volere e quindi di fermarsi in qualsiasi momento durante l'aggressione costata la vita a Giordana Di Stefano. In occasione delle arringhe finali discusse lo scorso 20 giugno, il pm Alessandro Sorrentino ha richiesto l'ergastolo per Luca Priolo nonostante il rito abbreviato preveda già una riduzione della pena. La medesima richiesta è stata mossa dal difensore della famiglia di Giordana Di Stefano, Ignazio Danzuso, e il legale del centro anti-violenza Galatea di Catania, costituitosi parte civili insieme all'avvocato Mirella Viscuso, intervistata in esclusiva anche da Sudpress. Dario Riccioli, difensore di Luca Priolo, ha richiesto per l'omicida la massima riduzione per la pena prevista dal rito abbreviato, insieme all'accettazione dell'attenuanti generiche e quelle relative alla provocazione messa in atto dalla giovane vittima dal quale, secondo il legale, sarebbe poi scaturito il raptus d'ira del ragazzo. Il penalista ha richiesto inoltre la sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, anche presso la comunità Exodus di Don Mazzi in Lombardia, in attesa della condanna definitiva. Secondo la difesa dell'imputato non esisterebbe più il pericolo di reiterazione del reato commesso. Il riesame della misura cautelare è stato fissato per il 12 dicembre. La sentenza del gup Recupido attesa per oggi slitta ancora una volta ed è stata fissata per il 7 novembre.