Un dedalo di viuzze e vicoli, un labirinto di vie fantasma abitate per lo più da prostitute ed extracomunitari
, pervase dal tanfo delle fogne a cielo aperto. Non è cambiato quasi nulla da quando si è voluta sradicare la delinquenza con lo sventramento del quartiere, tranne per alcune zone frequentate dalla movida catanese il sabato sera. Così come nulla è cambiato da quando l'amministrazione comunale, con le parole dell'assessore all'urbanistica e Decoro Urbano,
Salvo Di Salvo
, affermava solo un anno fa di voler "rigenerare a livello sociale e urbanistico il quartiere", con l'aiuto anche di chi la zona la vive quotidianamente (foto di
Francesco Nicosia
) Giusto due mesi fa,
si era dimesso Renato Camarda
, dopo poco più di un anno dalla sua
nomina
come presidente della "Fabbrica del Decoro", un progetto nato nel 2014, con l'obiettivo di lavorare sui quartieri a rischio di Catania, ma di fatto dimenticato dal Comune. Nel 2015,
altri discorsi altisonanti
da parte della
giunta Bianco
, puntualmente poi smentiti dai fatti, documentati da foto e testimonianze.
La sporcizia che si accumula agli angoli delle stradine, percorse comunque da alcuni passanti e turisti inconsapevoli, case simili a loculi abbandonati, rifugio per chi non ha dove andare. Edifici pericolanti e a rischio che fungono anche da piazza di spaccio. In attesa, sedute, le prostitute, italiane le più anziane, straniere le più giovani, e i transessuali, davanti ai piccoli alloggi, abitati da alcune e solo utilizzate per il "lavoro"da altre; e poi gruppi di giovani africani, agli angoli delle strade.
E' questo il disarmante quadro che si presenta a chi decide di fare un giro in quello che è uno dei quartieri più antichi di Catania, che ha subito l'ira della natura, con il terremoto del 1693, e quella indiscriminata dell'uomo, con lo sventramento del 1957, eppure ancora in piedi. La zona, che porta il nome del primo vescovo della comunità cristiana cittadina, è compresa tra le vie di San Giuliano, Ventimiglia e corso Sicilia.
Sudpress ha raccolto le storie, dopo aver vinto la diffidenza, da alcuni degli abitanti. Kenan, 21 anni, viene dal Gambia ed è in Italia da oltre 5 anni: "Sono arrivato a Palermo con un barcone, nel mio paese c'era la dittatura. Da qualche tempo vivo e lavoro a Catania, nelle cucine di un ristorante, mi trattano abbastanza bene, guadagno da vivere ma non è stato facile. Ho subito due pestaggi gratuiti, mi hanno spesso sputato addosso dalle macchine. Non ne capisco il motivo, ma adesso va un pò meglio. Ho vissuto in questo quartiere per anni ma adesso abito da un'altra parte. Qui torno spesso a trovare gli amici quando vado a lavorare".
Nel gruppo di cui Kenan fa parte, ci sono due o tre ragazzi che provano ad allenarsi, facendo piegamenti e trazioni per strada. Lo fanno sorridenti, a dimostrazione che lo sport potrebbe essere un modo per favorirne l'integrazione e consentir loro di avere motivazioni, che troppo spesso non hanno, per via delle difficoltà di comunicazione e dei troppi pregiudizi ancora esistenti.
Tra loro, uno dei più propensi a parlare è Sef, 25 anni, ivoriano, malgrado non conosca ancora bene l'italiano: "A casa ho ancora la famiglia, mia sorella. Qui vorrei imparare la lingua e lavorare, parlo inglese e francese, ma l'italiano è difficile" sorride. Vivo con gli amici -prosegue- per non stare solo, perchè ci si dà una mano a vicenda e si fa quello che si può, ma finora nessuno a cui ho chiesto mi ha voluto per lavorare. Aspetto e spero di riuscire a farcela".
Sono ragazzi normali, con vite alle spalle che nessuno riesce ad immaginare, ma con la speranza di avere un pò di più rispetto a quello che il destino gli ha finora riservato, malgrado le circostanze e le esperienze di vita, li portino a sbagliare, a non comprendere sempre cosa è giusto e cosa non lo è.
Il gran caldo, si fa sentire tra le stradine, e la poca acqua da bere, a questi ragazzi, come molti degli altri che sostano agli incroci, viene regalata da alcune anziane prostitute, che la comprano imbottigliata proprio per loro, con gli ultimi che aiutano gli ultimi.
E proprio una di queste donne, Anna, dalla Campania, decide serenamente di raccontare una piccola parte della sua dura vita: "Ho più di 60 anni, vivo a Catania da circa 30, e ho conosciuto personalità importanti facendo questo lavoro. Fui costretta dalla necessità e dalla vita, e non riuscii più a tirarmene fuori, perchè avevo anche dei figli a cui dare da mangiare. Quindi sono ancora qui, e tiro avanti con positività, con forza, ma negli anni in cui ho abitato il quartiere nulla è cambiato, anzi, è solo peggiorato, malgrado qualcuno dica il contrario".
Le vicende che si intrecciano nella zona sono tante e meritano di essere raccontate bene, e Sudpress lo farà in momenti diversi. Certamente la situazione attuale è disastrosa, con l'amministrazione comunale che, al netto di sopralluoghi e visite occasionali seguiti da belle parole e proclami che danno la speranza che qualcosa sia destinato a cambiare, è poi rimasta esattamente com'è, se non peggiorata.
La certezza assoluta è che il quartiere soffre, ed è a rischio, e nessuno che dovrebbe e potrebbe, fa nulla, con tutto quello che ne consegue: sofferenza, abbandono, degrado e decadenza. Le foto parlano da sole, senza aggiungere nulla.