
È cronaca e questo giornale in genere non la segue.
Ma in questo caso è la mia famiglia, e nonostante non abbia un senso è l'unico strumento che mi consente di urlare più forte che posso un dolore che non avrei immaginato e che non posso immaginare quanto stia colpendo mia cognata, Laura Garofalo e mio nipote Ettore Distefano.
Perché la notizia che da stamattina apre tutti i giornali locali e intasa i social racconta del terribile incidente autonomo in via Trieste che ci ha strappato due giovani vite, Edoardo Distefano e Christian Gargano, 24 e 25 anni.
Edoardo mio nipote, con il fratello Ettore, di un anno più grande, cresciuti con il mio Giancarlo, della stessa età. Cugini per sempre.
La foto che ho scelto l'ho presa dalla pagina di Ettore: mi pare ci stia, dà il senso di quello che vorrei dire e che forse vorrebbe dire lui.
Non importano dinamiche, rilievi, discussioni inutili sull'incidente, sui mille se.
Quando si perdono giovani vite, giovani che avrebbero potuto mangiarsi questo mondo sempre meno vivibile, l'unica cosa che si può fare tra lacrime irrefrenabili e fermarsi un attimo, pensare a noi che restiamo, anche perché chi è andato via sta sicuramente meglio di noi, ovunque sia.
Riflettere su questi nostri giovani, su queste nostre famiglie, su queste nostre comunità.
Edo, come tutti i giovani della nostra famiglia, e forse accade in tutte le famiglie, lo conoscevo poco, perché ormai non abbiamo più il tempo di conoscerci davvero, di sapere come stiamo, cosa vogliamo, dove stiamo andando.
Lo conoscevo di più da quello che mi racconta mio figlio, con cui era legatissimo e con cui credo condividesse tanti pensieri.
La stessa curiosità per un mondo che vorrebbero più amico, più accogliente, fraterno ed invece li respinge.
La stessa rabbia per regole imposte per castrarne le ambizioni, i sogni.
La stessa insofferenza per una società costruita per produrre dipendenti perfetti e infelici, i nuovi servi di una gleba foraggiata a merendine e scarpe firmate.
La stessa intolleranza per autorità prive di autorevolezza, per obblighi senza senso, ed a soffrirne di più sono spesso i nostri giovani più brillanti, più sensibili.
Edo aveva quel guizzo, in quel sorriso ad ogni “Ciao zio” quasi beffardo nella sua dolcezza, dolce nella sua beffardagine.
Io vorrei che gli arrivasse, adesso, il nostro amore, il nostro rispetto proprio per la sua rabbia, anche per le sue sfide, compresa l'ultima, che erano il suo modo di dire al mondo che non gli piaceva, che non ci stava.
Io vorrei gli arrivasse, adesso, la nostra stima, la nostra ammirazione che è per lui e per tutti quei nostri giovani che vivono male il modo in cui abbiamo ridotto le nostre società, annientato ogni valore delle nostre comunità.
Io spererei, anche se non ho il dono di questa fede, che possa averlo già accolto il suo amatissimo papà Guido, anche lui scomparso di recente. Anche lui splendida persona, anche lui forse non del tutto a proprio agio in quest'epoca infernale.
Io spererei che qualcuno dei suoi amici che si stanno alternando nella veglia, tragga insegnamento da questo dolore ingiusto. Anche uno solo, sarebbe la sua vittoria.
Anche uno solo che decidesse di lasciare le proprie abitudini, le proprie zone di comfort che diventano trappole.
Anche uno solo che riesca a sfidare non la morte, ma la vita.
A cercare non denaro o successo che non servono a niente, ma serenità e dignità.
Rispetto e amore per se stessi e gli altri.
Non sarà facile per chi resta, è una prova troppo dura per Laura ed Ettore, ma tutti insieme dovremo fare in modo che Edo viva e si possa realizzare quello che aveva nel cuore: AMORE. RISPETTO.
Ciao Edo, ricordatelo che ti vogliamo bene e saluta papà.
L'ultimo saluto sarà alle 16 di lunedì 3 marzo Chiesa del Cristo Re.