A partire dallo scorso mercoledì 11 settembre, le campanelle hanno via via ripreso a suonare tra i corridoi delle scuole italiane, ufficializzando così l’avvio dell’anno scolastico 2024/25.
Dopo la consueta e meritata pausa estiva, milioni di insegnanti e di alunni della Penisola condivideranno buona parte delle loro mattinate per circa 206 giorni; a fare eccezione saranno le scuole dell’infanzia, le cui attività educative proseguiranno almeno fino alla fine del prossimo giugno.
La formulazione degli annuali calendari scolastici non è che la pura espressione del principio di “diritto allo studio”, così espresso nell’art. 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
Il voto in condotta
Poche settimane fa, nel corso di un’intervista, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha fatto riferimento ad una problematica che impensierisce non poco il sistema educativo nazionale: la dispersione scolastica.
Malgrado la forte preoccupazione data da un tema tanto delicato, Valditara ha comunque potuto lanciare dei dati positivi, rilasciati dall’istituto INVALSI: in questo 2024, infatti, la quota di abbandono scolastico prima del conseguimento del diploma, da parte di giovani studenti e studentesse, è scesa al 9,4%.
Forte di questi risultati, il ministro ha inoltre aggiunto: “Il contrasto alla dispersione scolastica è tra gli obiettivi del PNRR, quindi di primaria importanza per il Paese”.
Anche se l’Italia ha raggiunto questa percentuale con alcuni anni di ritardo rispetto ai tempi previsti dall’agenda Europa 2020, è indubbio che si tratta di un segnale positivo, specialmente se lo si confronta col decisamente meno dignitoso tasso di abbandono del 13,3%, risalente al 2019.
Queste nuove cifre non hanno dunque decretato soltanto un “record di Stato” ma hanno altresì avvicinato il Belpaese agli standard prefissati per l’eurozona, scalzando addirittura Paesi come la Germania e la Spagna.
Tuttavia, come viene insegnato durante le lezioni di storia dell’arte, sono i minimi particolari a fare l’opera: oltre alle (giuste) gongolate del Ministero, più il campo d’indagine viene ristretto alle singole regioni e più questi segnali positivi sotto esame iniziano ad assumere i connotati di una “scena muta”.
La media
Con un’analisi mirata, la fondazione Openpolis aveva sottolineato il trend positivo intrapreso dall’Italia in questo frangente già nel 2023: lo scorso anno, infatti, la media nazionale di abbandono scolastico si era attestata al 10,5%, percentuale che ha fatto piazzare il nostro Paese “solo” al quinto posto su ventisette Stati per dispersione scolastica.
In certi casi, è preferibile rimanere tagliati fuori dal podio!
Ma se questo grave fenomeno sociale è risultato meno impattante in tante regioni del nord Italia, di certo la situazione presente nel Mezzogiorno e nelle Isole non ha potuto che alzare (o abbassare, dipende dal punto di vista) la media.
L’anno passato, in base a quanto attestato dai dati dello stesso report Openpolis, la rinuncia agli studi di tanti giovani siciliani ha catapultato la Trinacria ad un drammatico indice del 17,1%; a fare da apripista è stata solo la Sardegna, con il 17,3% di abbandono dei banchi di scuola.
A livello provinciale, la grave condizione in cui versa il nostro comprensorio ha preoccupato il Presidente della Corte d’Appello del capoluogo etneo, Filippo Pennisi, che si è così espresso nella relazione di inizio anno giudiziario: “E’ uno dei territori più esposti dal punto di vista della devianza minorile, che matura in contesti altamente degradati e spesso controllati dalla criminalità organizzata, con un apparato amministrativo assai carente in termini di servizi di prevenzione e accompagnamento pedagogico. […] Allarmanti i dati dell'abbandono scolastico, che nella città metropolitana di Catania si attesta intorno a una percentuale del 25,2%.”
Più di un quarto degli studenti del catanese, dunque, si sono allontanati definitivamente dalle aule degli istituti, andando incontro ad un’inevitabile povertà educativa. Ecco la nostra media!
Non è proprio un caso che, durante la celebrazione delle festività agatine del 2023, l’arcivescovo Luigi Renna ha rivolto un durissimo messaggio ai cittadini catanesi, tuonando: “Quando non mandate i vostri figli a scuola, fate loro un danno enorme.”
Dietro la lavagna
In considerazione di tali prospettive, la lotta ad un fenomeno che vìola il principio del diritto costituzionale all’istruzione dovrebbe essere vocazione delle politiche regionali e locali!
Proprio in seno a questa forte “vocazione”, in conseguenza dei parametri iniqui previsti dalla Legge di Bilancio 2023, nell’anno scolastico 2024/25 saranno ben 75 le istituzioni scolastiche siciliane (di cui 14 solo a Catania) che perderanno la propria autonomia e che verranno, dunque, accorpate ad altri istituti.
Questa manovra, secondo il comitato Cobas Scuola di Palermo, renderà ancor più complicata la gestione degli stessi istituti, sia da un punto di vista amministrativo sia nella creazione di adeguati percorsi didattici in linea con le esigenze individuali degli studenti, accrescendo inoltre i disagi nel lavoro degli insegnanti e delle famiglie, con le spalle sempre meno “coperte”.
Un diritto è per tutti; un lusso, invece, è per pochi eletti.