Nel giugno del 1989, il Ministero dei Lavori Pubblici emana quello che tutt’oggi rimane uno degli atti giuridici italiani più inclusivi a livello sociale: il decreto n°236 , che emana le direttive tecniche per l’eliminazione delle barriere architettoniche , sia negli edifici privati sia in quelli di edilizia residenziale pubblica.
Tale decreto obbliga infatti alla rimozione di quegli impedimenti che siano fonte di disagio per la mobilità di chiunque e, in particolar modo, di coloro che abbiano “una capacità motoria ridotta o impedita in forma temporanea o permanente”.
Parte degli articoli che compongono questo provvedimento, tra cui quello che ha in oggetto i criteri coi quali progettare una migliore accessibilità (montascale, rampe e ascensori), sono poi ripresi da un successivo decreto del Presidente della Repubblica, il n°503 del 1996.
In quest’ultimo caso, si predispone l’eliminazione delle barriere architettoniche anche in edifici, spazi e servizi pubblici.
A 35 anni di distanza dal primo provvedimento, nei comuni del nostro territorio si continuano a fare passi da gigante… e non nel senso metaforico del termine.
Piano Terra: le possibilità
Il comune di Santa Maria di Licodia, possibilmente una delle cittadine più “calme” della provincia catanese, vanta attualmente la proprietà di svariati immobili disseminati sul proprio territorio.
Buona parte degli uffici comunali potrebbero benissimo essere ospitati proprio all’interno di alcuni tra questi immobili come, ad esempio, gli spazi del nobiliare Palazzo Ardizzone o quelli sotto ai portici dell’iconica Piazza Umberto I .
Si tratta di strutture la cui accessibilità è già ampiamente alla portata di tutti: entrambe sono situate lungo la centralissima via Vittorio Emanuele, fruibili al piano terra e con antistanti marciapiedi dotati di scivoli che garantiscono il passaggio ai cittadini più fragili.
D’altronde, la conformazione data negli anni ’70 a Piazza Umberto I la predispone già ad ospitare gli uffici comunali più importanti: fino a circa 50 anni fa, infatti, la piazza si presentava come una lunga muraglia (per questo chiamata anche “a Murami” dai licodiesi) costruita interamente in splendida pietra lavica, disposta a mosaico; poi, però, si pensa bene di dilaniare la muraglia, scavandola all’interno, in modo da poter ricavare degli spazi utilizzabili come negozi o uffici, per l’appunto.
Ancora oggi, si possono ammirare i risultati del sacrificio della cara Piazza Umberto I: i portici alloggiano quasi esclusivamente saracinesche abbassate.
Piano Secondo: il caso
Un servizio fondamentale per l’economia di un qualsiasi comune, piccolo o grande che sia, è fornito indubbiamente dall’ ufficio tributi : ad esso va in effetti il compito di gestire imposte e tasse locali, come l’Imposta Municipale Unica (IMU), la tassa sui rifiuti (TARI) e l’addizionale IRPEF.
Vista l’importanza di una struttura del genere, si capisce subito quanto la sua fruibilità al pubblico debba essere particolarmente attenzionata.
È per questo motivo che tanti cittadini del luogo si sentono a dir poco perplessi dalla scelta delle precedenti amministrazioni comunali, che viene evidentemente condivisa anche da quella attuale, di allocare l’ufficio tributi di Santa Maria di Licodia al secondo piano di un antico edificio del paese .
Meglio però scendere (o salire?) più nel dettaglio.
Il palazzo in questione, situato in via Regina Margherita, già dall’esterno fa trasparire la sua essenza di reliquia di epoca mussoliniana.
Questo edificio, anni fa deputato a scuola elementare, ospita adesso sia diverse classi dell’Istituto Superiore Alberghiero della cittadina sia un paio di uffici comunali, tra cui l’ufficio ragioneria e l’ufficio tributi.
A primo impatto, a far incuriosire è più che altro la logistica: se le classi della scuola superiore sono divise tra il piano terra e il primo piano, i cittadini che dovessero recarsi negli uffici comunali non potrebbero far altro che raggiungere l’ultimo piano dello stabile, salendo per alcune rampe di scale dall’alzata dei gradini piuttosto rilevante.
Poco male però, perché, come previsto secondo legge, il palazzo è ovviamente dotato di ascensore: i cittadini più anziani o affetti da disabilità possono usufruirne.
Sfortuna vuole che, approcciando il vano ascensore, lo sguardo si posi subito sulla scritta “GUASTO”.
Durante la mia visita all’edificio, una dipendente che si trova per caso all’ingresso mi avverte: “l’ascensore è guasto” ; la curiosità mi porta quindi a chiedere “Da quanto è guasto questo ascensore?” e l’unica risposta che ricevo è “Da tanto tempo”.
Pare, allora, che la colpa non sia solo della sfortuna.
Qualche maldicente, in paese, addirittura si sbilancia e afferma che, in realtà, l’ascensore del palazzo non sia davvero guasto: è un piccolo trucco messo in atto per scongiurare le visite di quei cittadini, magari in avanti con l’età, che vorrebbero semplicemente ricevere una banale consulenza.
Si sa però com’è la vita di paese e, come dice il detto, “chi vive di malalingua non conosce felicità” .
PS: torneremo tra 15 giorni