Ad una settimana dal voto, resta ancora molto elevata la percentuale degli indecisi e di coloro che sono fortemente tentati di non votare.
Secondo le ultime rilevazioni, circa un italiano su due preferirebbe non recarsi alle urne.
È interessante notare che tra di loro ci sono soprattutto i diciottenni, i cinquantenni e i neolaureati.
Riflettiamo assieme su questi dati e proviamo a interpretarli, cominciando dai primi, da coloro che per la prima volta eserciterebbero il diritto di voto.
Solitamente la vigilia di un’esperienza nuova è caratterizzata dall’entusiasmo, dalla curiosità e, nella fattispecie, dovrebbe esserci pure una buona dose di soddisfazione, giacché il voto sancisce, in qualche modo, l’ingresso nel mondo degli adulti e quindi di coloro che, a pieno titolo, partecipano alla vita sociale di uno Stato.
Ricevere il certificato elettorale, un tempo, equivaleva per un giovane a conseguire la patente di guida, nonostante condurre un’automobile non sia un diritto fondamentale come eleggere il parlamento.
Io ricordo molto bene che, durante la mia prima campagna elettorale da maggiorenne, trascorrevo le ricreazioni a discutere con i miei compagni di scuola e a confrontarmi con loro sulla situazione politica.
Gli argomenti di allora vertevano sulle contrapposizioni ideologiche tra democristiani e comunisti, sulle liti furibonde, ma civili e argute, tra Ciriaco De Mita e Bettino Craxi, sull’edonismo reaganiano e thatcheriano, sulla perestroika di Gorbaciov, sulla Milano da bere.
Non sono temi da rimpiangere, intendiamoci, ma è innegabile che suscitassero interesse in tutti, compresi i ragazzi, che li coinvolgessero e spingessero a informarsi, a identificarsi con i leader carismatici di allora, a schierarsi e, dunque, a prendere delle posizioni.
Chiediamoci cosa, della politica di oggi, potrebbe interessare i giovani o quale esponente politico li affascinerebbe al punto da volerlo emulare.
Molto probabilmente, queste stesse motivazioni spiegano le perplessità dei cinquantenni, che appartengono alla generazione maggiormente disillusa dalla politica.
Che ha creduto nell’attuazione di certi ideali, che poi ha visto sfumare, che ha assistito allo sfacelo morale dell’Italia negli anni Novanta, che ha visto cadere gli uomini migliori del Paese, falciati dalla mafia e dal terrorismo, che ha subito il degrado culturale e l’imbarbarimento sociale degli ultimi decenni.
Si capisce, pertanto, l’imbarazzo di dovere scegliere, la difficoltà di trovare persone realmente rappresentative, per condivisione di valori, ideologia e cultura.
I neolaureati, infine, sono coloro che rientrano nella fascia anagrafica compresa tra i ventitré e i venticinque anni.
Essendo nati alla fine del secolo scorso, non hanno conosciuto direttamente la cosiddetta prima Repubblica.
Qualcuno l’avrà potuta studiare sui libri, ma la loro idea di politica è indubbiamente legata alla fase successiva.
Quella, cioè, molto più spettacolarizzata e urlata, contrassegnata dalla crisi dei partiti storici e da leggi elettorali farraginose, che hanno notevolmente ridotto la libertà di scegliere i candidati più stimati e congeniali.
Una politica senza dubbio impoverita dalla crisi delle ideologie e dal livello culturale di alcuni suoi esponenti.
Condizionata dal dominio della finanza e talora assoggettata agli interessi dei grandi capitali, che hanno, di fatto, trasferito il cuore della vita democratica dalle sedi istituzionali proprie alle borse internazionali, in cui l’andamento dei mercati vale di più della volontà dei cittadini.
A fronte di tutto ciò, pur comprendendo le ragioni di tanta, diffusa indifferenza, non possiamo che ribadire quanto scritto qualche settimana fa.
Ovvero di superare la tentazione dell’astensionismo e di non rinunciare a un diritto che tanti, prima di noi, hanno agognato e continuano a desiderare in molte parti del mondo, pagando pure di persona per ottenerlo.
Come canta il poeta: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Non dimentichiamolo! Mai.