
Esponente di spicco della Cosa Nostra catanese Santo La Causa, oggi collaboratore di giustizia, viene interrogato dal PM Pasquale Pacifico durante il processo istruito in seguito all'omicidio del boss Gino Ilardo. "Dentro un pacco di biscotti sigillato l'ordine di uccidere". Rivelazioni anche sulle motivazioni dell'omicidio legate, secondo il pentito, all'uccisione dell'avvocato Famà Continuano le audizioni all’interno del processo scaturito dall’omicidio del boss mafioso Gino Ilardo. Confidente del colonnello Riccio dei ROS dei Carabinieri (nome in codice Oriente), e vice-rappresentante delle famiglie di Caltanissetta, Ilardo venne ucciso a Catania il 10 Maggio del 1996. Ancora misteriosi i moventi dell'omicidio, sicuramente di matrice mafiosa, soprattutto per le ombre che si abbattono sulle rivelazioni che Oriente avrebbe fatto alle istituzioni prima di essere assassinato. Ilardo, secondo alcuni, avrebbe infatti potuto portare all'arresto dello Zio (Bernardo Provenzano) già all'inizio degli anni Novanta. Ad essere sottoposto alle domande del Pubblico Ministero è oggi il super pentito Santo La Causa, rappresentate di spicco del clan Santapaola-Ercolano, già condannato dal Gup di Catania Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo, a 13 anni e 4 mesi di reclusione, all'interno del rito abbreviato nel 2013. All'epoca della sua condanna La Causa aveva già deciso di collaborare, come spiega oggi durante l'udienza: "Era l'Aprile del 2012 ed ero già detenuto per associazione mafiosa dal 2009". Interrogato dal PM Pasquale Pacifico, titolare dell'inchiesta, il boss spiega prima di tutto le motivazioni del suo "pentimento", parlando dei passaggi che lo hanno portato ad affidarsi alla Giustizia, tra i quali il "benestare" di Vincenzo Santapaola : "Come ho sempre detto, non è stata una decisione presa dall’oggi al domani, ma una valutazione interiore sviluppata negli anni, al punto che quando ero detenuto a Parma, chiesi al figlio di Benedetto Santapaola, Vincenzo, il suo “sta bene” facendo lui le veci del padre. L’unico modo per vedere la mia famiglia era quello di collaborare con la giustizia, e così ho trovato il coraggio nel 2012". Ma non era quella la prima esperienza in carcere per La Causa, già incarcerato più volte negli anni Novanta. E' il 1996 quando, poco prima dell'omicidio Ilardo, La Causa viene scarcerato; in quel periodo, come conferma l'uomo "ricoprivo il ruolo di soldato ma non uno come tutti gli altri, ero riconosciuto dai Santapaola come se fossi un uomo d’onore, al punto che ero tenuto in considerazione più di un uomo d’onore”. In quel periodo, secondo le parole del pentito, i reggenti del clan egemone sul territorio di Catania erano quattro: "Vito Licciardello, Aurelio Quattroluni, Salvatore Cristaldi, Vincenzo Aiello”. Il clima di tensione e caos che segue l'arresto del boss storico Nitto, crea una serie di conflitti in quegli anni, che portarono all'uccisione di Vito Licciardello, uomo di riferimento per La Causa, che portarono il boss a "trasferirsi" sotto la guida di Maurizio Zuccaro. "Al momento in cui venne ucciso Licciardello - dice La Causa - ero preoccupato perché per me era come fratello, avevamo fatto lo stesso percorso all’interno della famiglia, per questo ero preoccupato anche per me. La stessa motivazione che aveva portato all'omicidio di Licciardello poteva essere applicata su di me. Mi feci accompagnare allora dall’autista di Vito Licciardello che mi fece parlare con Maurizio Zuccaro e da quel momento mi appoggiai a lui. Sotto certi aspetti, da allora, feci parte del gruppo di Maurizio Zuccaro”. Dopo un primo momento di ricostruzione del contesto storico, il PM Pasquale Pacifico conduce La Causa al momento dell'omicidio di Gino Ilardo. "Non conoscevo di persona Gino Ilardo - afferma il pentito - sapevo chi fosse di nome, ma mi spiegarono quando vi era il progetto di eliminarlo, che era il cugino di Piddu Madonia, una persona importante a Caltanissetta”. L'eliminazione di Ilardo, stando a quanto dichiarato dal pentito, sarebbe scaturita dopo numerose richieste provenienti dal carcere, attraverso "pizzini" trasportati in vario modo. Nel particolare, racconta La Causa, l'omicidio Ilardo gli fu ordinato attraverso un messaggio contenuto in un pacco di biscotti sigillato consegnatogli da Vincenzo Ercolano (figlio di Giuseppe). “Per essere esatti, messaggi ne ricevemmo più di qualcuno, a testimoniare l'insistenza dal carcere per questo omicidio - afferma La Causa. Da una parte Maurizio Zuccaro riceveva messaggi da Vincenzo Santapaola (figlio di Benedetto) io ebbi conferma di questi messaggi da Vincenzo Ercolano, figlio di Giuseppe, che mi consegnò un bigliettino in un pacco di biscotti e mi disse >. Presi questo pacco di biscotti e me ne andai. In quel biglietto vi era l’ordine perentorio di uccidere Gino Ilardo. Ebbi conferma poi da Maurizio Zuccaro della fretta di uccidere Gino Ilardo, una fretta che non capivo”. Sul bigliettino però, a quanto pare non vi era scritto il motivo dell'ordine, ma secondo La Causa: "i motivi che trapelarono erano il fatto che indicava Gino Ilardo quale responsabile dell’uccisione dell’avvocato Famà”. Una volta ricevuto il messaggio, La Causa descrive l'atteggiamento di Zuccaro che, stando alle parole del pentito, avrebbe avuto una gran fretta di eseguire l'ordine per mettersi in mostra agli occhi dei vertici di Cosa Nostra: “Una volta ricevuto il messaggio ne vado a parlare con Maurizio Zuccaro. A quel punto Zuccaro non faceva altro che dire Perché? Perché la sua ambizione era ciclopica. Voleva essere lui a commettere l'omicidio perché era un ordine eccellente e voleva emergere lui".