
Il disegno di legge proposto dal governo regionale, diretto da Schifani, mirava all'aumento - seppur sensibile - delle indennità degli amministratori delle società partecipate. La norma, approvata in commissione, prevedeva un compenso aggiuntivo fisso e uno variabile, legato al raggiungimento degli obiettivi gestionali (o le famose task).
Premessa.
Non siamo qui per parlare dell'aumento, del raddoppio o del terno che possono prendere i presidenti, sarebbe il dito che indica la luna; invece, bisogna capire com'è possibile che un governo così unito e compatto dia esito negativo e vittoria schiacciante all'opposizione.
I numeri parlano chiaro: 16 voti favorevoli contro 39 contrari. Non è un'opposizione numerica naturalmente; infatti il dato rilevante è che almeno 14 deputati della maggioranza hanno votato contro la proposta, approfittando del voto segreto richiesto dall'opposizione.
Quasi certamente l’aumento delle indennità è stato visto ingiustificabile non solo per i cittadini siciliani, ma persino per i deputati, dato che: se la legge avesse avuto esito positivo, i presidenti delle partecipate si sarebbero trovati ad avere un compenso maggiore del deputato stesso, sortendo un effetto ben preciso: maggior potere contrattuale .
Le opposizioni hanno poi tirato le somme definendo la norma vergognosa e “clientelare”.
Antonio De Luca (M5S) ha parlato di una “umiliazione politica” e Ismaele La Vardera (gruppo misto) ha attaccato l’iniziativa come esempio di “irresponsabilità”, soprattutto in un contesto segnato da crisi idrica, problemi nella sanità e aumento del costo della vita.
L’accusa corale è abbastanza chiara: voler costruire una sorta di paragoverno retribuito, in un momento in cui le priorità dei cittadini sono ben altre.
Hanno ragione? Probabilmente. Ci interessa? Assolutamente no.
Al di là del contenuto della legge, il voto ha svelato che questo centrodestra non solo non è compatto (e un po' lo sapevamo) ma che è teso come una corda di violino. Le ipotesi possono essere due:
1) A far cadere la legge sono stati i deputati di Fratelli d’Italia che - forti del voto segreto - avrebbero voluto mandare un messaggio a Schifani: “chi ha più corda attacca il porco” [trad: se vogliamo, cadi].
2) Sono stati proprio alcuni deputati di Forza Italia, lo stesso partito di Schifani, a voler affossare la norma. Perché? Perché la legge non è solo pericolosamente impopolare, ma mina lo status quo dei deputati, anche dei più fedeli.
Tralasciando le interpretazioni politiche, una cosa è certa: questo evento è specchio di una stagione politica effervescente, in cui le alleanze interne sono abbastanza fluttuanti e contano poco, ma veramente poco. L’orizzonte delle elezioni — anche se non imminenti — alimenta dinamiche pirandelliane e consiglieri in cerca d'autore. In questo scenario, ogni voto diventa un’occasione per pesarsi e, in molti casi, mandare il segnale interno alla coalizione.
Altro che franchi tiratori, 14 cecchini d'élite.