Il 25 agosto scorso si è svolta la Giornata della gioventù in Russia, alla quale il Papa si è collegato da remoto, pronunciando un discorso molto bello, nel quale ha parlato di accoglienza, incontro tra nazioni, cura del più debole, anziani, democrazia.
Ma soprattutto ha parlato di pace e di speranza, usando parole come queste:
"Auguro a voi, giovani russi, la vocazione di essere artigiani di pace in mezzo a tanti conflitti, in mezzo a tante polarizzazioni che ci sono da tutte le parti, che affliggono il nostro mondo.
Vi invito a essere seminatori, a spargere semi di riconciliazione, piccoli semi che in questo inverno di guerra non germoglieranno per il momento nel terreno ghiacciato, ma che in una futura primavera fioriranno [...] Siate segno di speranza, segno di pace e di gioia, come Maria, perché, con la stessa “umiltà della sua serva”, anche voi possiate cambiare la storia in cui vivete".
Poi ha fatto dei riferimenti storici, appellandosi alla cultura russa, alla sua inestimabile tradizione di spiritualità, che ha prodotto capolavori assoluti della letteratura mondiale.
Il Papa ha poi nominato due sovrani, Pietro il Grande e Caterina la Grande, irritando parecchio gli Ucraini, che di essi serbano un ricordo molto brutto.
Anche perché dal primo in particolare, ha più volte dichiarato di trarre ispirazione Vladimir Putin.
Il contesto in cui Francesco ha citato i due regnanti non era, però, politico ma, lo ripetiamo, culturale.
E non c’è dubbio che da questo punto di vista, sia lo zar che la zarina sono stati due figure imprescindibili di una stagione molto feconda.
A Pietro si deve la rifondazione della Russia su basi fortemente occidentali, fino a costruire nel 1703 una nuova città sul Baltico, Pietroburgo, divenuta presto capitale.
Caterina appartiene, invece, alla categoria dei cosiddetti “sovrani illuminati”, artefici di importantissime riforme, attinte da quella corrente di pensiero chiamata Illuminismo di cui è figlia la modernità e a cui dobbiamo, fra l’altro, concetti come lo Stato laico, i diritti naturali, la libertà dei popoli, la pace perpetua.
E siccome il Papa non ha bisogno di avvocati difensori, al ritorno dal viaggio in Mongolia, ai giornalisti che lo accompagnavano, pur ammettendo che il riferimento ai due imperatori non era stato felice, ha precisato egli stesso di averli richiamati per i loro meriti culturali anziché per le scelte politiche e ha poi ribadito: «Ma quello che ho detto ai giovani russi è di farsi carico della propria eredità, di prendere la propria eredità, che vuol dire non “andare a comprarla” altrove, sai? Assumere la propria eredità. E quale eredità? Quella della grande Russia: la cultura russa è di una bellezza, di una profondità molto grande, e non va cancellata per problemi politici».
Sembrava esser tornato il sereno, ma poche ore fa Mykhailo Podolyak, capo consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, sul Canale 24 dell’Ucraina ha accusato Bergoglio di essere filorusso e che, come tale, non può svolgere alcuna mediazione tra le parti in conflitto.
Negando, in questo modo, gli sforzi meritori che la Santa Sede e Francesco hanno messo in atto nei mesi scorsi, per giungere ad una realistica conclusione pacifica dello scontro.
Ricordo che “mediare” significa letteralmente stare in mezzo, dunque al centro.
Pretendere che un negoziato possa avere successo con una conduzione sbilanciata di esso è pura velleità.
Credere che la Russia prenderà mai posto ad un tavolo, proposto da chi si schiera in partenza con il suo nemico, è una mera illusione.
E mi rifiuto di pensare che la diplomazia internazionale non lo capisca.
Temo, purtroppo, che interessi di altra natura stiano, ancora una volta, avendo la meglio su di una reale e concreta volontà di pace e che parecchio sangue continuerà a scorrere in quest’area afflitta dell’Europa.
Si metta fine, pertanto, alle solite ipocrisie, ai proclami di pace infondati e impossibili e si abbia il coraggio di dire la verità nuda e cruda, così come l’ha cantata il poeta: che la guerra è bella anche se fa male.
Che le vite umane valgono molto meno degli affari illeciti, del commercio di armi, di tutti gli investimenti biecamente redditizi che ogni conflitto implica.
E lo si dica alle migliaia di madri, russe e ucraine, i cui figli stanno come d’autunno sugli alberi le foglie; ai bambini, russi e ucraini, che non rivedranno mai più i loro padri; alle mogli dei soldati, russi e ucraini, già rimaste vedove; ad un mondo che da un anno e mezzo assiste impotente e sconcertato ad una guerra sporca e assurda, che ha già causato oltre 500.000 vittime tra morti e feriti, russi e ucraini.