
Marco Romanello è il sindaco leghista di Marcon, una paese di diciotto mila abitanti in provincia di Venezia, che ha negato il patrocinio del Comune alla proiezione di “Roma città aperta”, il capolavoro della cinematografia italiana e mondiale, diretto da Roberto Rossellini.
La motivazione addotta dal primo cittadino è la seguente: “L’iniziativa in questo momento non è in linea con il programma culturale di mandato”.
Probabilmente si voleva dire “programma ideologico di mandato” e non culturale, perché la cultura, quella vera, non può essere esclusa da un mandato elettorale.
Questo non vuol dire che non possano esserci simpatie di stile, di contenuto, di periodo, di autore. In letteratura, ad esempio, posso gradire Dante più di Ariosto o Leopardi anziché Pascoli.
Nelle arti figurative è legittimo apprezzare Raffaello meglio di Michelangelo e Canova più di Bernini.
Così come, in musica, si può preferire Mozart a Beethoven, Wagner a Verdi.
E naturalmente, anche nel cinema è possibile prediligere Fellini e De Sica più di Visconti e Pasolini.
Ma l’estromissione di un’opera d’arte da un programma culturale autorizza a dubitare della qualità di quel programma.
Per smorzare le polemiche, Romanello ha poi dichiarato che sarebbe andato comunque a vedere il film.
Se così è stato, egli ne avrà potuto trarre solo beneficio.
Ma se, al contrario, avesse patrocinato la proiezione e non fosse andato ad assistervi, il suo comportamento sarebbe stato meno disdicevole. I gusti, infatti, non si possono imporre e, pertanto, tutti abbiamo il diritto di pensare e dichiarare che un capolavoro come “La corazzata Potëmkin” sia “una cagata pazzesca” e magari ricevere pure i novantadue minuti di applausi, che furono tributati al celeberrimo Fantozzi rag. Ugo.
Ma se ricopriamo cariche istituzionali e dunque svolgiamo una funzione di rappresentanza democratica, non possiamo mai compiere scelte escludenti, di nessun genere.
Meno che mai culturali.
Nella fattispecie, poi, non si tratta solamente di una pellicola che riproduce un momento fondamentale della storia della nostra Repubblica che, è bene non dimenticarlo, è fondata sulla Resistenza al nazifascismo.
“Roma città aperta” è anche un prodotto di altissimo valore estetico, pluripremiato, interpretato da due dei massimi attori italiani.
La scena in cui Anna Magnani insegue il marito appena catturato dai Tedeschi e cade falcidiata da una raffica di mitra, ha una forza espressiva commoventissima.
In settanta secondi essa identifica la stagione più feconda del cinema italiano, il neorealismo, che ha gettato le basi culturali del secondo dopoguerra e concorso alla formazione di una coscienza democratica e liberale, grazie anche alla sua componente letteraria, incarnata da scrittori tra i quali si ricordano Elio Vittorini, Cesare Pavese, Primo Levi, Alberto Moravia.
Oltre alla Magnani, il cui personaggio è legato a Teresa Gullace, uccisa a Roma nel 1944, recita Aldo Fabrizi nei panni di un prete, che riassume due figure sacerdotali romane, don Pietro Pappagallo, assassinato alle Fosse Ardeatine e don Giuseppe Morosini, fucilato dopo essere stato torturato.
Quest’ultimo, prima di cadere, pronunciò le parole dette da Gesù in croce: “Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno”.