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"Non siamo dispiaciuti di tornare a votare"

23-07-2022 07:58

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

"Non siamo dispiaciuti di tornare a votare"

Facciamolo serenamente, anche se occorrerebbe una legge elettorale capace di dare vera rappresentanza

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Dunque, dopo poco più di cinquecento giorni, il governo di Mario Draghi è caduto, là dove è giusto che si decida la sorte degli esecutivi, ossia in Parlamento.

 

Alla fine, anche il secondo Supermario chiamato a salvare la patria, ha dovuto prendere atto di non essere più gradito alle forze politiche, almeno ad alcune, e gettare la spugna.

 

È stata una crisi sui generis, ammettiamolo, con iniziative senza precedenti, come gli appelli rivolti al presidente del consiglio, affinché non rinunciasse al suo ufficio.

 

Appelli prevenienti da sindaci, rettori universitari e perfino da un clochard, intervistato dall’Adnkronos, la quale, però, pare abbia smentito la circostanza.

 

Abbiamo avuto anche le lacrime dello stesso Draghi, seguite dalla battuta “anche i banchieri hanno un cuore”, che riprende una barzelletta, raccontata dal premier durante una recente conferenza stampa.

E naturalmente non sono mancate le polemiche, gli scambi di accuse, le scissioni nel Movimento cinque stelle, le uscite di ben tre esponenti di punta da Forza Italia: Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e Mara Carfagna. 
 

A Sergio Mattarella l’ingrato compito di tirare le conseguenze di tutto ciò e, dopo avere sentito i presidenti di Camera e Senato, come detta l’art. 88 della Costituzione, indire le elezioni anticipate.

Si voterà il 25 settembre e sarà la prima volta, nella storia della Repubblica, che gli Italiani eleggeranno il Parlamento in autunno.

Questo vuol dire che trascorreremo un’estate, già rovente di suo, in campagna elettorale. 
 

Noi non ci schiereremo, il nostro compito è continuare ad osservare quanto accade e riferirlo agli amici lettori, con le considerazioni, che le vicende, di volta in volta, ci ispireranno.

Né ci sentiamo di auspicare che vinca il migliore, perché, francamente, nel panorama che ci si squaderna dinanzi agli occhi, non riusciremmo ad identificarlo.

 

Ma non siamo dispiaciuti che si torni a votare.

 

Saremo degli idealisti, o forse dei poveri illusi, ma crediamo ancora che, in una democrazia, i governi debbano essere scelti dal popolo, che è il depositario della sovranità.

 

Non dimentichiamo che, quando Giuseppe Conte rassegnò le dimissioni, il Presidente della Repubblica spiegò, dinanzi alle telecamere, che il passo formalmente più corretto sarebbe stato il voto anticipato e che solo l’emergenza sanitaria in atto lo induceva a decidere diversamente.

 

Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se fossimo andati a votare nella primavera del 2021, come, ad esempio, era accaduto negli Stati Uniti, che nel 2020 avevano eletto Joe Biden.

 

Probabilmente i cinque stelle, forti del consenso di cui godeva allora Conte, avrebbero vinto le elezioni e il loro leader sarebbe stato confermato a Palazzo Chigi.

 

Matteo Renzi, accusato di “conticidio”, sarebbe politicamente scomparso, Matteo Salvini e la Lega sarebbero stati ridimensionati e, qualche mese più tardi, Mario Draghi sarebbe diventato Capo dello Stato, magari al primo scrutinio, con un’ampia maggioranza, così come indicato da tutte le previsioni.

 

Ma queste sono solo ipotesi, che mai potranno essere verificate.

Fra due mesi potremo, invece, vedere se effettivamente vincerà il centro-destra, come riportato dai sondaggi, o se non assisteremo ad una rimonta del centro-sinistra.

 

Potrebbe anche accadere che non prevalga nessuno dei due e che venga fuori una situazione incerta e ingovernabile.

 

Qualunque sarà l’esito della competizione, esso coinciderà, però, con la volontà democraticamente espressa dagli Italiani.

E per questo dovrà essere preferito a ogni altra soluzione.

Almeno fino a quando l’Italia seguiterà ad essere una democrazia.

Negli ultimi tempi i pretesti per rinviare le elezioni sono stati tanti: la pandemia, il pnrr, le qualità di Draghi, la guerra.

 

Ma noi non siamo né un’aristocrazia, forma di Stato teorizzata da Aristotele in cui il potere è in mano ai cittadini “migliori”; né una tecnocrazia, nella quale il governo è affidato a uomini esperti, ma non politici, poiché non ricevono un mandato popolare.

Noi siamo ancora, e spero che lo rimarremo sempre, una Repubblica democratica.

 

Pertanto, il ricorso alle urne, anche anticipato, non deve essere mai interpretato, o vissuto, come una iattura, ma come l’occasione nella quale il popolo esercita pienamente la propria sovranità.

 

Il rischio più grande, adesso, è l’astensionismo, di cui abbiamo già avuto preoccupanti anticipazioni.

Ciò è dovuto, senza dubbio, ad un generale disinteresse per la politica, causato dalla fine dei grandi ideali e delle storiche ideologie, che, un tempo, infiammavano le masse e suscitavano in esse il desiderio di impegnarsi per migliorare il mondo.

 

Ma c’è pure una ragione più prosaica, ossia una legge elettorale, da tutti stigmatizzata e da nessuno migliorata che, di fatto, non permette agli elettori di scegliere tutte le persone dalle quali essere rappresentati.

Non mi stupirei se, il prossimo 25 settembre, molti Italiani preferissero trascorrere la domenica amenamente, anziché recarsi al seggio a esercitare il più importante dei diritti democratici. 


A questo punto, ci permettiamo anche noi di indirizzare due appelli: agli elettori e ai parlamentari che saranno eletti.

 

Ai primi raccomandiamo di votare, anche scheda bianca, ma votare, perché quando il popolo partecipa alla cosa pubblica, la classe dirigente si sente controllata e giudicata ed è spinta a operare bene.

 

Ai futuri senatori e deputati chiediamo di inserire in cima ai loro programmi una nuova legge elettorale, che restituisca ai cittadini la fiducia nelle istituzioni e il piacere di contribuire alla loro formazione e al loro funzionamento.   

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