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Il giornale che pubblica una notizia e scatena l'inferno

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17 febbraio 1992: con l'arresto di Mario Chiesa comincia tutta un'altra storia. Che deve ancora iniziare davve

17-02-2022 06:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

17 febbraio 1992: con l'arresto di Mario Chiesa comincia tutta un'altra storia. Che deve ancora iniziare davvero

A trent’anni di distanza, non possiamo non ammettere che molti di quei sogni di rinnovamento si sono infranti

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Quando il 17 febbraio 1992 i carabinieri di Milano ammanettarono Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, mentre intascava una tangente, nessuno poteva prevedere il senso e soprattutto gli effetti di quell’arresto.

 

Sembrava un fatto di ordinaria corruzione: l’imprenditore Luca Magni, stanco di pagare, aveva denunciato il manager milanese, esponente di spicco del PSI cittadino.

Il sostituto procuratore Antonio Di Pietro, ex commissario di Polizia, aveva fatto microfonare la vittima, chiedendogli di consegnare al suo estortore i soldi richiesti, 7 milioni di lire, pari a metà dell’importo complessivo.

A quel punto erano intervenuti i militari, cogliendo Chiesa in flagranza. 
 

In poco tempo le agenzie di stampa diffusero la notizia, con inevitabili allusioni al ruolo del PSI nella vicenda e, in particolare, del suo leader Bettino Craxi.

Quest’ultimo, poco dopo, dichiarò ai giornalisti che lo incalzavano, che un singolo “mariuolo”, non poteva mettere in dubbio la reputazione degli amministratori del suo partito.

 

In realtà erano mesi che aleggiavano dubbi sulla condotta di alcuni uomini politici di quella formazione.

L’anno prima Daniele Luchetti aveva girato un film dal titolo "Il portaborse", con Nanni Moretti e Silvio Orlando, che rappresentava uno spaccato molto realista ed efficace dell’intreccio politica-affari in Italia.

E un cantante impegnato, come Francesco De Gregori, proprio nel 1992, pubblicava "Canzoni d’amore", un album che comprendeva "La ballata dell’uomo ragno", il cui testo fa riferimento all’on. Craxi. 
 

L’inchiesta “Mani pulite”, come fu chiamata dal nome in codice della prima operazione, dilagò in poche settimane in tutta Italia.

 

Un impressionante effetto domino svelò un sistema di corruzione e clientelismo, con un esorbitante giro di danaro.

Le elezioni per il nuovo Presidente della Repubblica avrebbero dovuto far salire al colle un democristiano, come Forlani e Andreotti, o un socialista.

Ma la strage di Capaci orientò il parlamento a scegliere il presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro, ex magistrato, che, nonostante la lunga esperienza politica, era ritenuto estraneo a quella forma di malaffare.

 

Nel giro di un anno furono decapitati i partiti politici che avevano governato e amministrato il Paese per decenni.

 

La Procura di Milano dapprima e successivamente altri uffici giudiziari, acquistarono una popolarità senza precedenti e un vento di rinnovamento e di pulizia morale cominciò a soffiare su tutta la penisola.

Molti credettero che i magistrati stessero riuscendo a cambiare gli Italiani, a liberarli dall’immagine di truffaldini con la quale, spesso, sono stati identificati, specialmente all’estero.

Si sperò che una nuova e più qualificata classe dirigente potesse sorgere e soppiantare la vecchia, ormai irrimediabilmente screditata.

Che i concorsi, gli appalti, le assunzioni, la gestione dei soldi pubblici, da lì in poi, sarebbero avvenuti con trasparenza e rettitudine, rispettando i diritti di tutti e riconoscendo i meriti dei più preparati.

Che l’onestà, la lealtà, la coerenza, la bontà venissero considerate per quello che sono, cioè delle virtù e non delle limitazioni alla propria realizzazione.

Si sognava un Paese in grado di affermarsi in Europa e nel mondo, con una riacquistata credibilità, capace di una epocale opera di rinnovamento e dunque pronta ad accogliere e a superare le grandi sfide della storia.
 

A trent’anni di distanza, non possiamo non ammettere che molti di quei sogni si sono infranti, che tante speranze sono state deluse e che, anzi, per certi aspetti, la situazione è pure peggiorata.

 

Il malcostume morale è ancora imperante, come dimostrato recentemente anche dalle numerose irregolarità emerse a riguardo del superbonus.

Inchieste come quella su mafia capitale hanno confermato che la collusione tra la pubblica amministrazione e la malavita non è stata estirpata. E nell’immaginario comune chi è spregiudicato e furbo, ossia chi riesce a gabbare lo Stato in qualche modo, è tuttora destinato a fare strada. 


Per non parlare della politica, che ha toccato livelli di inadeguatezza mai visti prima, che da anni non riesce più a esprimere una maggioranza democratica, ossia decisa dal popolo sovrano, ad eleggere un nuovo Capo di Stato, a scegliere un Presidente del Consiglio non tecnico, a reggere il confronto con gli altri Paesi. 
 

Non vorrei risultare ripetitivo, ma il problema, ancora una volta, è culturale.

 

Un vero rinnovamento non può essere attuato dai magistrati, cui peraltro non spetta cambiare le società, ma applicare le leggi.

Il cambiamento tanto agognato non potrà avvenire, fino a quando l’educazione non riacquisterà l’importanza che merita e la dignità della persona non tornerà a prevalere sul profitto.

 

Questi sono i veri e nobili obiettivi, che tocca alla scuola conseguire, anziché esporre gli studenti ai rischi del lavoro in fabbrica. L’Italia non ha solo bisogno di lavoratori, ma di cittadini onesti, coscienziosi, col senso del dovere e lo spirito di abnegazione.

 

Abbiamo necessità di uomini e donne che tornino a pensare, a concepire idee, ad elaborare progetti e, se è il caso, a criticare, contestare, indignarsi per le ingiustizie, a ribellarsi contro le prepotenze, a sacrificare la vita per la libertà e la verità.

 

Non dimenticando mai l’insegnamento di un grande politico e intellettuale come Aldo Moro
“Probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica, di cui noi saremo stati determinatori, non soddisferà le nostre ideali esigenze; la splendida promessa, che sembra contenuta nell’intrinseca forza e bellezza di quegli ideali, non sarà mantenuta. Ciò vuol dire che gli uomini dovranno pur sempre restare di fronte al diritto e allo Stato in una posizione di più o meno acuto pessimismo. E il loro dolore non sarà mai pienamente confortato. Ma questa insoddisfazione, questo dolore, sono la stessa insoddisfazione dell’uomo di fronte alla sua vita, troppo spesso più angusta e meschina di quanto la sua ideale bellezza sembrerebbe fare legittimamente sperare. Il dolore dell’uomo che trova di continuo ogni cosa più piccola di quanto vorrebbe, la cui vita è tanto diversa da l’ideale vagheggiato nel sogno. È un dolore che non si placa, se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire o cantato nell’arte, o quando la forza di una fede o la bellezza della natura dissolvono quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino”.

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