
Per evitare di fuorviare il lettore, premetto che io sono uno di quei circa 8 milioni di italiani cui è stata somministrata la terza dose di vaccino.
Chiarisco anche che la mezza fiala di Moderna, che si è aggiunta alle prime due di Astrazeneca, è quella che ho ricevuto con maggiore convinzione.
Detto questo, però, devo riconoscere che gran parte di quanto ci avevano spiegato nelle settimane scorse, negli ultimi giorni è stato clamorosamente rimesso in discussione.
I vaccinati possono essere contagiati e, dunque, non è più sufficiente esibire il green pass per frequentare un luogo affollato, ma occorrerebbe un tampone, possibilmente molecolare.
Avevamo meritato il riconoscimento di primi della classe in Europa e adesso abbiamo capito, invece, che era solo questione di tempo.
Nonostante le rassicurazioni di Mario Draghi, contrario a qualunque forma di chiusura, si è dovuta decretare quella delle discoteche.
Usare le mascherine chirurgiche è di sicuro meglio che niente, ma sono nettamente da preferire le ffp2, sia al chiuso che all’aperto.
Attendiamo nuove disposizioni inerenti all’organizzazione scolastica, in cui il distanziamento interpersonale, ad agosto, era stato raccomandato “ove possibile”.
Bisognerà pure contemperare la necessità di mantenere le imposte aperte in aula con le temperature invernali e il dispendio energetico.
Ma soprattutto ci siamo dovuti un po’ tutti disilludere circa la prossima fine della pandemia, tanto che qualcuno si era espresso a sfavore del rinnovo dello stato di emergenza, in scadenza il 31 dicembre e, fortunatamente, prolungato di nuovo.
Il numero di positivi ha ripreso a crescere in modo esponenziale, toccando cifre record, di decine di migliaia in un giorno, mai viste prima, neppure durante il primo lungo lockdown.
Ed è vero che l’economia del Paese non può permettersi altre interruzioni, né quarantene a tappeto, che rischierebbero, comunque, di paralizzarla.
E adesso che si fa?
Ancora una volta la parola tornerà agli scienziati del CTS e, successivamente, ai politici, cui spetta la sintesi ultima tra le indicazioni mediche e gli altri problemi della società.
Considerato, però, che ci troviamo ormai a due anni dalla comparsa del virus, credo che potremmo cominciare ad assumere spontaneamente comportamenti responsabili, senza ricevere, per forza, una norma dall’alto.
Vero è che certezze ne abbiamo poche, ma queste poche che abbiamo, usiamole bene.
L’indigestione mediatica di esperti, intenti da mesi a concionare in tv o nei social, dovrebbe avere fatto maturare in ognuno di noi, la consapevolezza di ciò che si deve o non si deve fare.
Con centomila contagi al giorno, non vorremmo più sentirci dire da chi incontriamo per strada, se ci si può abbracciare e baciare oppure no.
Ovvero se possiamo toglierci la mascherina, darci la mano, effettuare visite domiciliari, specialmente a soggetti a rischio, organizzare pranzi e cene luculliani, accostarsi agli altri a meno di un metro, ricevere oggetti da mani estranee (cellulari, spesa, penne) e non disinfettarli.
Probabilmente molte delle precauzioni adottate in questi mesi, seguiteranno a far parte del nostro agire per anni e, forse, per tutta la vita.
D’altro canto, non è tollerabile la solita litania di chi si lamenta di questa situazione, esclamando che “così non si vive più”, che “siamo stanchi”, quasi a giustificare, in tal modo, atteggiamenti e azioni difformi dalle più elementari regole di sicurezza.
I piagnistei non servono a nulla!
Abbiamo capito che il corona virus non concede tregua e sembra, a volte, prendersi gioco di noi, come un bravo predatore con la sua vittima.
Un esserino senza cervello non può spuntarla su miliardi di uomini che, invece, il cervello ce l’hanno e, quando vogliono, lo sanno utilizzare bene.
E siccome, storicamente, uno degli impieghi più riusciti di quest’organo è consistito nel trovare un senso alle cose che accadono, forse sarebbe utile iniziare a farlo anche sul covid 19.
Oltre alle percentuali, ai vaccini e alle terapie, dovremmo chiederci il perché di certi avvenimenti; non è detto, infatti, che quello empirico e positivista sia l’unico approccio utile a venirne fuori.
Da una visione più speculativa del problema potrebbero, magari, ricavarsi soluzioni meno immediate, ma più efficaci.
L’ansia di normalità, ancorché legittima e comprensibile, non è sempre l’ingrediente migliore.
Non sarebbe male se l’uomo rivedesse le norme etiche che hanno ispirato le sue azioni degli ultimi decenni.
La spasmodica e spregiudicata ricerca del profitto, l’uso strumentale degli esseri umani praticato in alcune aree del mondo, la violazione dei diritti naturali, le spese vertiginose per le armi, la violenza perpetrata sul Creato, sono cause innegabili di un insostenibile regresso della specie cui apparteniamo.
Un radicale cambiamento di rotta non è più rinviabile.
Chissà che la sua attuazione non possa anche agevolare la fine della pandemia e che essa non sia esplosa proprio per questo…
Un impegno in tale direzione potrebbe essere un buon augurio per l’inizio del nuovo anno.