
Le recenti elezioni amministrative, che hanno coinvolto dodici milioni di Italiani, hanno deluso i leader del Centro-destra, che da mesi si vantavano di rappresentare la maggioranza del Paese.
In realtà, i loro candidati alla poltrona di sindaco hanno già perso a Milano e Napoli e rischiano la sconfitta anche là dove sono arrivati al ballottaggio.
Il Movimento Cinque Stelle, che è già fuori dai maggiori capoluoghi, ha opportunisticamente preferito condividere il successo conseguito da Gaetano Manfredi, eletto a Napoli in un’ampia coalizione di ben tredici liste, anziché affiancare Virginia Raggi, rimasta sola a Roma, a fronteggiare “le corazzate” avversarie.
Nel Centro-sinistra il più contento è senza dubbio Enrico Letta, segretario del PD, che può dire ormai di essere veramente sereno, avendo vinto le suppletive a Siena e avendo ottenuto degli innegabili successi anche alle amministrative.
C’è però un dato, che sicuramente non sarà sfuggito a nessuno dei partiti ed è l’altissima astensione, registrata intorno al 50%, per la quale credo che nessuno di loro abbia realmente motivo di esultare.
Vero è che ci sono Stati di consolidata tradizione democratica, come gli USA, in cui questo numero si riscontra ad ogni tornata elettorale.
In Italia, però, la storia è diversa ed è caratterizzata, al contrario, da partecipazioni massicce di elettori, dovute innanzitutto alle sollecitazioni di quelli che un tempo erano i maggiori partiti di massa (DC e PCI), che spiegavano task force di volontari, capaci pure di prelevare le persone da casa e accompagnarle al seggio.
Influiva anche uno spiccato senso civico, manifestatosi sin dalle prime elezioni post belliche, in virtù del quale il voto veniva percepito dagli Italiani più come un dovere che come un diritto.
Ma soprattutto c’era una classe dirigente, molto qualificata, che invogliava i cittadini, col suo prestigio e la sua autorevolezza, a recarsi alle urne e ad esprimere le proprie preferenze.
Chi è un po’ avanti negli anni ricorderà le lunghe file di uomini e donne, davanti alle scuole, attendere il loro turno per votare.
Di tanto in tanto tali scene vengono riproposte dalla televisione attraverso filmati di repertorio, che forse ci appaiono troppo distanti dalla nostra esperienza anche se, in realtà, appartengono solo a qualche decennio fa.
Ciò che colpisce, di quelle immagini, è l’eterogeneità della gente: sono rappresentate tutte le fasce o categorie sociali: preti e suore, contadini e ricchi proprietari, operai e imprenditori.
Ciascuno con la propria dignità di cittadino, che gode dei diritti politici e si compiace di esercitarli.
Ma soprattutto si nota che, oltre ai tanti anziani, alcuni dei quali si avvalgono pure dell’aiuto di un accompagnatore, c’è la presenza di moltissimi giovani, di ragazze e ragazzi, appena maggiorenni, con addosso l’abito delle occasioni, che assaporano il piacere di una libertà da poco conquistata.
Dai loro volti traspare l’entusiasmo del gesto che stanno per compiere, la convinzione della scelta da esprimere, la speranza che il proprio partito, o il proprio candidato, possa spuntarla sugli altri.
Oggi, ahimè, si preferisce trascorrere il fine settimana al mare o in montagna e comunque distanti dal luogo di residenza.
C’è un disinteresse per la politica diffuso e preoccupante, probabilmente causato dalle mutate condizioni storiche, cioè dalla mancanza di ideali forti e di un ceto politico colto e ragguardevole.
A parte poche rare figure, che si distinguono ancora per l’eleganza dei modi e la finezza del portamento, la maggior parte dei politici – e non solo italiani – mostra gravi carenze culturali, ostenta atteggiamenti grossolani, a tratti pure volgari, si rivela incapace di elaborare un pensiero, una progettualità, di avere una visione nitida del bene comune ed attuarla.
A volte si ha pure la sensazione dell’inutilità della politica, si teme, infatti, che le decisioni che contano non spettino più ai rappresentanti dei cittadini, ma ad altri organismi, di natura più economica che democratica, grossi potentati divenuti, ormai, i veri detentori del potere.
Ciò ha determinato un allarmante allontanamento dalle istituzioni, particolarmente avvertito dalle ultime generazioni, sempre più assuefatte a questo mondo, anziché impegnate a migliorarlo.
Forse i temi ambientalisti le stanno un po’ ridestando, ma se alle manifestazioni di piazza non corrisponderà, al più presto, un drastico cambiamento nel loro stile di vita, tutto sarà vanificato.
Giorni fa, un docente universitario ha dovuto ripetere per ben tre volte il nome di Aldo Moro a lezione, poiché totalmente sconosciuto ai suoi studenti.
Temo che con queste premesse non si potrà andare molto lontano.
Anzi, se la distanza tra la politica e la società non sarà colmata, fra non molto ci ritroveremo tutti meno liberi e, quel che è peggio, non ce ne saremo neanche accorti.
“La libertà, cantava Giorgio Gaber, non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Oggi sono di più coloro che preferiscono star sopra un albero a guardare gli altri, magari criticando, senza mai esporsi, oppure quelli che amano librarsi in volo, non curandosi di ciò che accade in basso, chiedendo solo di non essere disturbati nei loro affari.
La democrazia non è un dogma, ma una conquista importante e preziosa, da comprendere, preservare e coltivare.