Innanzitutto un enorme grazie all'avvocato Emanuela Fragalà,
inconfutabilmente tra i migliori penalisti del Foro di Catania, che ancora una volta ha difeso con estrema professionalità e lucidità, ma anche impegno e passione, la Libertà di un giornale di pubblicare notizie vere riguardanti i vari "Poteri e Potenti" di questa disgraziata città.
E soprattutto il Diritto dei suoi cittadini di conoscere quello che combinano quelli che dovrebbero rappresentarne gli interessi con "onore e lealtà".
Ormai da oltre un decennio l'avvocato Fragalà demolisce le accuse spesso temerarie con le quali tentano di intimidirci, ed ancora più significativo il fatto che si dedica ad ogni processo contro la libertà di stampa con lo stesso impegno che mette in procedimenti di ben altra complessità ed importanza, quindi:
GRAZIE DAVVERO AVVOCATO EMANUELA FRAGALÁ!
E veniamo alla notizia, perché la notizia c'è eccome.
Della Croce Rossa di Catania, ma anche nazionale e palermitana, ci siamo occupati più volte.
Si tratta di una organizzazione una volta pubblica, ormai privata e trasformata in tante singole aziende privatissime iscritte alle varie Camere di Commercio.
Ciascuna di queste aziende provinciali gestisce quantità enormi di denaro pubblico sotto varie forme e con modalità del tutto particolari: per averle raccontate abbiamo subìto diverse querele da parte del presidente provinciale di Catania Stefano Principato e siamo in attesa delle prime sentenze che confidiamo seguano la sorte di quella di cui ci occupiamo oggi.
Già un Giudice si è chiesto se le spese legali i querelanti le pagano con i fondi pubblici destinati alle funzioni benemerite che la Croce Rossa svolge grazie ai tanti eroici volontari ignari delle azioni di chi "comanda" spesso molto meno "eroicamente".
Per lo stesso articolo, in cui incidentalmente si parlava anche della prefetta di Catania Maria Guia Federico, abbiamo subìto più querele: la prima prima presentata dal presidente della Croce Rossa Principato, è stata archiviata nel 2019.
In quel caso a chiedere l'archiviazione il Pubblico Ministero Antonino Fanara con un ragionamento che riportiamo nell'articolo che dedicammo alla vicenda e merita di essere letto.
Il querelante Principato, a nome della Croce Rossa e difeso dall'avv. Francoo Passanisi dello studio legale Stancanelli-Passanisi, si oppose all'archiviazione ed anche in questo caso l'accusa venne demolita dall'avvocato di Sudpress Emanuela Fragalà, tanto da giungere al decreto di archiviazione emesso dal GIP Luigi Barone con motivazioni che meritano anch'esse di essere lette e ricordate.
Gli articoli erano due:
e raccontavano alcuni fatti di indiscutibile interesse pubblico:
Tra i tanti aspetti e le tante anomalie segnalate nei due articoli, alcuni riguardavano proprio la prefetta di Catania, allora ancora in servizio nel capoluogo etneo, Maria Guia Federico.
Della prefetta Federico il giornale si era già occupato in occasione di alcuni incarichi commissariali conferiti per la gestione del CARA di Mineo come anche della Oikos: lasciamo perdere...
In questo caso l'attenzione si era posta sul fatto che la Croce Rossa di Catania, presieduta da Stefano Principato, aveva assunto con chiamata diretta presso il pronto soccorso dell'aeroporto di Catania la figlia della prefetta che si chiama Chiara Ruffolo e che si era appena laureata in medicina a 31 anni.
Ricordavamo, tra l'altro, che la prefettura era organo di controllo dell'attività svolta dalla Croce Rossa in vari servizi.
Pubblicati gli articoli, come detto, sono subito arrivate le querele e, dopo l'archiviazione di quella di Principato, arriva adesso questa bella sentenza su quella intentata dalla ex prefetta Federico.
Il Sostituto Procuratore che ha chiesto il giudizio e sostenuto l'accusa è stato Fabio Regolo, la sentenza è stata emessa dal Giudice Carla Aurora Valenti.
A difenderci, lo ripetiamo, l'avvocato Emanuela Fragalà.
Dopo aver ripercorso il contenuto degli articoli, la Giudice Valenti scrive:
"Occorre premettere che entrambi gli articoli si occupavano principalmente della gestione della Croce Rossa di Catania da parte del presidente del comitato provinciale, Principato Stefano.
In particolare, l'articolo del 20.6.2017 esponeva che la Croce Rossa di Catania faceva parte dell'associazione di imprese che gestiva l'appalto per i servizi al centro di accoglienza CARA di Mineo, alcune dell quali erano state oggetto del procedimento penale noto come "Mafia Capitale", pur precisando che la Croce Rossa era estranea alle indagini, e che per tale servizio aveva ricevuto, nel periodo da marzo 2015 ad aprile 2017, la somma complessiva di € 4.612.000.
L'articolo evidenziava che la Croce Rossa di Catania si occupava anche del servizio di primo soccorso presso l'aeroporto di Catania, in virtù di una gara d'appalto annullata nell'aprile 2016 e da allora gestita in regime di proroga, servizio per il quale, nel medesimo periodo, aveva ricevuto la somma di € 1.111.000.
In tale contesto, il giornale faceva notare che presso il servizio di primo soccorso che laCroce Rossa gestiva all'aeroporto di Catania lavorava come medico la figlia del Prefetto di Catania Federico Maria Guia, dott.ssa Ruffolo Chiara, assunta ad appena un anno dalla laurea senza selezione pubblica, e commentava come tale assunzione fosse inopportuna, in considerazione dei poteri di controllo che la Prefettura aveva sul CAA di Mineo, ove operava oa Croce Rossa Italiana. Il giornale aggiungeva che, da documenti che aveva vuto modo di verificare, risultava chela dott.ssa Ruffolo Chiara era uno dei pochi medici in servizio presso l'aeroporto di Catania ad essere pagata con una certa puntualità.
Nel secondo articolo del 23.6.2017, ripendendo l'argomento, si segnalava che Ruffolo Chiara aveva conseguito la laurea a 31 anni, dunque fuori corso, e che fino alla verifica fatta il 13.6.2017 non risultava avere alcuna specializzazione."
Il Giudice Valenti rileva anche che "l'articolo si occupava poi della scelta di un grosso fornitore della Croce Rossa Italiana e della gestione delle risorse da parte del comitto di presidenza, segnalando che € 205.000 erano stati spesi mediante una carta prepagata, dunque con un metodo di pagamento non trasparente."
Poi il Giudice torna sulla questione posta dalla querela:
"Innanzitutto , si osserva che gli articoli di inchiesta giornalistica si proponevano di informare i lettori di come il comitato della Croce Rossa di Catania avesse ottenuto i servizi al CARA di Mineo e all'aeroporto di Catani, delle somme di denaro pubblico ricevute per tali servizi, di come avesse gestito le risorse, commentando che ciò era avvebnuto in modo poco trasparente e poco opportuno.
In tale contesto, che poneva su altre questioni l'attenzione principale, le notizie che concernono la dott.ssa Ruffolo Chiara e indirettamente il Prefetto Federico Maria Guia sono innanzitutto vere:
- è vero che la dott.ssa Ruffolo aveva stipulato con il Comitato della Croce Rossa Italiana un contratto di prestazione d'opera;
- è vero che la scelta dei medici non era avvenuta attraverso un concorso pubblico;
- è vero che la dott.sa Ruffolo si era laureata in medicina all'età di 31 anni;
- è vero che non avev conseguito alcuna specializzazione;
- è vero che la Prefettura di Catania aveva poteri di controllo e di intervento in merito all'esecuzione dell'appalto per l'affidamento dei servizi e delle forniture per la gestione del centro di accoglienza CARA di Mineo, affidato ad un'associazione di imprese di cui faceva parte anche la Croce Rossa Italiana."
E prosegue il Giudice Valenti:
"Proprio la presenza di finanziamenti pubblici e il tipo di servizi di cui si occupava la Croce Rossa Italiana rendevano di indubbio interesse pubblico le notizie sulle modalità di gestione delle sue attività da parte del Comitato di Catania e del suo presidente.
Infine si ritiene che sia stata rispettata anche la continenza della forma, poiché i toni degli articoli, per quanto pungenti, non sfociavano mai in un attacco diretto esclusivamente a ledere l'onore e la reputazione dei soggetti coinvolti, ma tendevano a manifestare una critica rispetto all'opportunità di alcune scelte e condotte tenute dal comitato di Catania della Croce Rossa Italiana."
Per questi motivi, come recita la formula di rito, è stato sentenziato di non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato:
SCRIVERE LA VERITÅ, ANCHE QUANDO SI TRATTA DI RACCONTARE STORIE DI POTENTI E POTENTATI CAPACI DI DARE INCARICHI E PREBENDE AD AMICI E "FIGLI DI", NON É DIFFAMAZIONE.
E TANTOMENO CALUNNIA!
Adesso vedremo il da farsi...