Aleksej Grigor'evič Stachanov, eroe del lavoro socialista e vol au vent del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, famoso più che altro per il cognome.
Se questo non dice nulla, a lui viene dedicata la parola che piace moltissimo a manager, direttori e amministratori delegati delle società, piccole o grandi che siano: stacanovismo.
Oggi si farà una cosa un po' diversa dal solito.
Prima della solita verbosa e, quasi sempre, inutile spiegazione su cosa sia un esaurimento nervoso lavorativo (oggi conosciuto come burnout) faremo parlare un lettore e un lavoratore che, in quanto ingranaggio di una multinazionale locale, meglio di noi saprà spiegarci cosa significa.
"Sono un ragazzo, classe ‘92, da poco assunto in una grande multinazionale dell'elettronica catanese.
Le prime interazioni con il lavoro mi avevano già preparato si suoi aspetti più nobili: la ricerca, la divulgazione di nuove idee, lo spirito di squadra, la realizzazione personale.
Da poco tempo, invece, mi sono stati presentati anche i rischi a cui può venire incontro il lavoratore.
Da studente, conoscevo bene la tensione, la noia e l'ansia provati nel preparare un esame.
Ma, nelle prime ore dei video-corsi aziendali, a queste sensazioni vedevo associati dei nomi ben precisi: workaholic, depersonalizzazione, need for recovery, burnout.
Ad ogni termine imparato, non mi riconoscevo nei casi descritti, pensando che mai avrei potuto ritrovarmi in situazioni così impegnative o stressanti, nonostante già sapessi cosa significasse rispettare una deadline.
Iniziavo a riconoscere queste dinamiche, tuttavia, in alcuni dei miei colleghi.
Nonostante ognuno di loro professasse di voler lavorare il meno possibile e di godersi appieno la pausa caffè, li vedevo uscire da lavoro sempre più tardi, sempre più stressati.
Uno di loro vorrebbe iscriversi in palestra ma non riesce, un altro ha dormito 4 ore stanotte, un altro ancora prepara il fine settimana perfetto ormai da troppe settimane.
Non ho ancora avuto esperienze, dirette o indirette, con un vero e proprio burnout, ma ammetto che ho un po' di timore.
Mi ripeto che non sono quel tipo di persona, che non vivrò mai solo per lavorare, ma al contempo riconosco che nemmeno i miei colleghi, alla mia età, volevano tutto ciò.
Credo che esistano soluzioni a questo lavoro esasperato e sono convinto che debbano partire dall'individuo, capo o impiegato che sia.
L'azienda, impersonale e onnisciente, mostra in un bugiardino completo i rischi e i modi in cui si possono evitare, ma non dà assoluta protezione.
È vero che spesso l'ossessione del lavoro ci viene trasmessa da chi è più in alto nella gerarchia aziendale, ma molti impiegati fanno l'errore di non parlarne apertamente e di non denunciare situazioni in cui il lavoro diventa malsano.
È quindi importante riconoscere la situazione emotiva in cui ci si trova, capire se effettivamente il proprio tempo libero sta venendo ingoiato dal lavoro e agire in merito, anzitutto parlandone con gli altri (ma non solo lamentandosene).
Bisogna dare il massimo valore alle restanti 16 ore della giornata, perché è anche lì che una persona vive la propria quotidianità, facendo ciò che ama.
E ignorando quella notifica arrivata, fuori orario, sul cellulare aziendale."
Forse siamo accerchiati da modelli che glorificano e divinizzano il lavoro incessante, la produttività e, soprattutto, il lavoro fuori orario.
Insomma, più lavori, più sei stressato e produttivo, più la società (e i tuoi capi) ti lodano.
Richard Easterlin, economista, battezza la sua teoria con il nome "paradosso della felicità" e ci offre una prospettiva tanto banale quanto complessa nei tempi odierni:
“L'aumento del reddito porta alla felicità solo fino a un certo punto; oltre questo limite, l'effetto positivo tende a svanire.”
Ma il punto cruciale è proprio questo, il burnout viene visto come qualcosa di quasi positivo soltanto da chi ne trae un effettivo guadagno, come, ad esempio, una multinazionale.
Passare tempo con i propri affetti e dedicarsi ad attività che ci fanno stare bene, avere del sano tempo libero, che non è solo una pausa, ma un investimento.
Forse sta arrivando il momento in cui si sarà più attenti al proprio tempo e alle energie individuali anche perché -volendo essere cinici- Stachanov morì solo tre anni dopo la pensione.