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Il 12 gennaio nel cuore di tutti sarà la festa di San Biagio

14-01-2023 05:45

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Il 12 gennaio nel cuore di tutti sarà la festa di San Biagio

È già entrato nel Libro della Vita di chiunque conosce e conoscerà la sua Storia

Il 12 gennaio è per Palermo una data storica, che ricorda la grande rivoluzione popolare, scoppiata nel 1848 e diffusasi, in poche settimane, in tutta Europa: da Parigi a Vienna, da Milano a Berlino, da Roma a Firenze, da Napoli a Venezia.

 

Da oggi, nel capoluogo isolano, nessuno dubita che, fra non molto, in questo giorno, si celebrerà la festa di San Biagio Conte, il missionario laico, che giovedì scorso si è spento nella missione Speranza e carità, nella quale, per trent’anni, ha accolto e accudito migliaia di senza tetto. 
 

Apparentemente, quella di Biagio è una storia di altri tempi, che ricorda molto quella di San Francesco d’Assisi e di Santa Rosalia, la principale patrona di Palermo.

 

Nato cinquantanove anni fa in una famiglia agiata della borghesia palermitana, che lo fa studiare dapprima in un collegio svizzero e successivamente nell’abbazia di San Martino delle Scale, a sedici anni abbandona gli studi e comincia a lavorare nell’impresa edile del padre.

 

Ma a vent’anni, la crisi spirituale che dall’adolescenza lo attraversa, lo induce a lasciare casa e a trasferirsi a Firenze.

Nel 1990 torna in Sicilia e decide di ritirarsi sulle montagne dell’entroterra.

Da lì, dopo un breve eremitaggio, comincia un pellegrinaggio a piedi alla volta di Assisi, dove giunge il 7 giugno 1991.

Ivi matura la decisione di andare in missione in Africa, ma rientrato a Palermo per un breve soggiorno, capisce di essere chiamato a svolgere il ministero nella sua città.

 

Inizia, così, una grande opera di apostolato nei quartieri più poveri, raccogliendo gli indigenti che, non avendo una dimora fissa, trascorrevano la notte sotto i portici della Stazione Centrale.

 

Dotato di un grande carisma personale e mosso da un forte ardore spirituale, diviene, ben presto, noto alle autorità comunali e regionali, per i suoi digiuni, grazie ai quali ottiene, nel 1993, dei locali in Via Archirafi, dove crea il nucleo originario della sua missione.

 

Grazie alle offerte di tanti benefattori e alle battaglie personali di Biagio in favore degli ultimi, essa si ingrandisce sempre di più, fino a diventare la Cittadella del povero e della speranza, in grado di ospitare oltre mille bisognosi. I quali non ricevono soltanto assistenza passiva ma, coloro che possono, sono anche chiamati a lavorare, cooperando al mantenimento della preziosa struttura e riscoprendo quella dignità che, da mendicanti, credevano di avere perduto. 


Avendo conosciuto gli agi della vita e le insoddisfazioni che ne derivano, fratel Biagio, come amava farsi chiamare, scelse di vivere povero tra i poveri, con un saio verde, la croce al collo, i sandali ai piedi e un bastone in mano.

Con la sua testimonianza egli sperava di contribuire ad un radicale cambiamento culturale e morale, che non riguardasse esclusivamente la sua città, ma attraversasse tutto l’occidente e, in generale, le società opulente.

 

Per questo percorse tantissimi chilometri a piedi, giungendo fino a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo, accolto dal presidente David Sassoli, al quale raccomandò di “contribuire e rafforzare sempre più l’Unione Europea soprattutto nella solidarietà, nell’ospitalità e nell’accoglienza”, perché “una società che lascia indietro i più deboli non può essere una giusta e corretta società, prima o poi rischia la destabilizzazione, la crisi, il crollo”. 


L’ultima volta che lo vidi fu nei giorni tristi della pandemia, passò sotto casa mia, con una grande croce sulla spalla, esortandoci alla conversione.

Non perché associasse il covid ad un castigo divino, ma perché sperava che da quell’esperienza di dolore e di morte, potesse comunque uscire un mondo rinnovato, più umano e libero.

 

Sappiamo che finora questo desiderio non si è realizzato, ma il suo esempio rimane come un pungolo contro l’individualismo e l’indifferenza, a cominciare da quella che alcuni media hanno avuto nei suoi confronti, snobbando la sua scomparsa o posponendola a tante frivolezze e banalità.

 

“Attenzione, scriveva fratel Biagio nel 2019, che l’indifferenza emargina, uccide chiudere la porta, produce maggiore povertà, disagio, violenza, destabilizzazione, ingiustizie e guerre.

Invece l’accoglienza è integrazione.

Abbiamo tutti il dovere di non alzare barriere, ancor peggio muri, noi non siamo fatti per dividere, separare le nazioni ma per unire”.  


Oggi Palermo è scossa ma non triste, perché crede fermamente che, dopo quello di don Pino Puglisi, il nome di un altro suo figlio illustre è già stato scritto nel libro della vita.

Quella vera.

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