Forse non tutti sanno che la data del 25 dicembre, scelta dalla Chiesa per celebrarvi il Natale di Gesù, potrebbe essere storicamente fondata.
Il prof. Shemarjahu Talmon, dell’Università di Gerusalemme, ricostruendo i turni del servizio sacerdotale al Tempio, ha infatti scoperto che alla classe di Abia esso spettava tra il 23 e il 30 settembre di ogni anno.
A questa classe apparteneva Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, che, secondo il Vangelo di Luca, apprese che sua moglie Elisabetta avrebbe dato alla luce un figlio, proprio mentre si trovava nel Tempio.
Ora, se Giovanni Battista è nato nove mesi dopo, arriviamo alla settimana che va dal 23 al 30 giugno, così come previsto dalla liturgia, che fissa la nascita del Battista al 24 giugno.
Dalle Scritture sappiamo anche che Gesù è sei mesi più giovane del cugino e dunque il suo Natale deve essere avvenuto nella settimana compresa tra il 23 e il 30 dicembre.
L’evangelista Luca riporta, inoltre, un particolare non trascurabile, relativo al modo in cui Gesù è nato.
Giuseppe non trovò un luogo dove far partorire la moglie, poiché “non c’era posto per loro nell’albergo”.
Le locande betlemite potevano essere sovraffollate per il censimento, ordinato da Cesare Augusto, che aveva costretto le famiglie della Palestina a tornare nelle città di provenienza, per essere censite.
Questo avrebbe causato una sorta di “tutto esaurito”, che avrebbe lasciato fuori gli ultimi arrivati.
Tale versione ha ispirato Guido Gozzano che, in una celeberrima poesia del 1914, La Notte Santa, fa ripetere più volte a degli osti spiacenti e a disagio: “tutto l’albergo ho pieno”.
Una lettura più attenta della pericope suggerisce, invece, che il dettaglio riportato dall’Autore sacro possa alludere ad una esclusione precisa e mirata.
E la ragione di questo rifiuto, probabilmente, non sarebbe riconducibile a questioni sociali, economiche o, peggio, razziali. Piuttosto ad un pregiudizio, presente nella cultura ebraica del tempo, che considerava impure le donne incinte, le quali, pertanto, non potevano frequentare luoghi pubblici, per non contaminare gli altri.
Di conseguenza, le porte degli ostelli rimangono chiuse solamente “per loro”.
E, in particolare, per Maria, che, nella fattispecie, oltre ad una discriminazione, subisce pure un’ingiustizia, in quanto, “non avendo conosciuto uomo”, manteneva intatta l’originaria illibatezza.
Questa vicenda ricorda le troppe situazioni in cui le donne sono ancora vittime di esclusione, maltrattamenti fisici e psicologici, vessazioni e varie forme di prevenzione, che ne impediscono una piena affermazione umana e professionale.
Se tracciassimo un bilancio di fine anno, dovremmo riservare loro uno spazio drammaticamente rilevante.
A cominciare dalle madri russe e ucraine, lacerate dalla perdita di un figlio, ucciso in combattimento o sotto le bombe.
Per non parlare delle ragazze africane, che dopo aver partorito un figlio, lo hanno visto spirare assiderato, a bordo di uno di quei barconi che, verghianamente, chiamiamo della speranza.
Ma penso pure alle oltre cento donne massacrate in Italia, da gennaio a oggi, molte delle quali soppresse dalla folle pretesa di dominio di un familiare; a Saman Abbas, la diciottenne pakistana, strangolata dallo zio e a sua madre Nazia Shaheen, che, in un misto di impotenza e complicità, non riesce a impedire che la figlia venga fatta a pezzi e gettata nel Po; alle centinaia di iraniane, che da settembre ad oggi, sono state sacrificate sull’altare della libertà e della dignità.
La narrazione lucana prosegue, aggiungendo che, alla fine, Maria partorisce, verosimilmente in una stalla, nella cui mangiatoia depone il suo bambino, che due miliardi e mezzo di cristiani credono ancora essere il Messia, disceso sulla Terra, “per annunziare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista e rimettere in libertà gli oppressi”.
Nel clima natalizio di questi giorni, ho pensato a quale uomo sceglierebbe oggi il Figlio di Dio per incarnarsi.
Ritengo di avere trovato la risposta a questo non facile interrogativo, grazie ad uno scrittore conterraneo, Elio Vittorini, che in Conversazione in Sicilia scrive: “Non ogni uomo è uomo, allora. Uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato. Uccidete un uomo; egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, un affamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame”.