
L’arresto di Mario Chiesa, avvenuto il 17 febbraio 1992, grazie alle indagini di un giovane sostituto procuratore di nome Antonio Di Pietro, ex commissario di polizia, è ormai visto dagli storici come l’occasione sprecata di un atteso processo di trasformazione politica e morale del nostro Paese.
Dopo anni di esagerato benessere, raggiunto anche all’insegna della corruzione e del malaffare, si prospettava un concreto ricambio della classe dirigente italiana, ritenuta la principale responsabile di uno squallido intreccio tra istituzioni e finanza.
In effetti, nel giro di pochi mesi, figure potentissime del panorama politico caddero sotto i colpi di un’arma efficacissima, chiamata “avviso di garanzia”.
Quest’ultimo, anziché essere inviato a “garanzia” dell’indagato, così come previsto dal Codice, divenne l’incubo di molti segretari di partito, ministri e parlamentari, costretti a dimettersi dalle proprie cariche, una volta raggiunti dalla temuta comunicazione giudiziaria.
La prima testa prestigiosa a saltare fu quella di Bettino Craxi, il leader socialista, per anni adulato e riverito da chi traeva vantaggio dalla sua influenza, e poi additato come icona del malcostume e dell’immoralità.
Successivamente, toccò a tutte le forze di governo, i cui vertici furono inesorabilmente coinvolti in un’inchiesta, chiamata “mani pulite”, che si allargò a macchia d’olio.
Fino ad arrivare a colui che, per decenni, era stato considerato l’uomo politico più importante e misterioso d’Italia: Giulio Andreotti.
Anch’egli, infatti, venne accusato di reati gravissimi, quali l’associazione mafiosa e il delitto Pecorelli.
Non v’è dubbio che le vicende appena rievocate, sortirono degli effetti irreversibili nella storia del Paese, tanto che i giornali coniarono l’espressione “seconda Repubblica”, per designare il periodo appena iniziato, che si sperava in discontinuità col passato.
Ma le speranze, ben presto, si spensero.
Ai vecchi partiti succedettero soggetti nuovi, con programmi alquanto indefiniti ed esponenti di bassa levatura.
La politica cedette il posto all’antipolitica, che non tardò a manifestare la propria avversione verso le istituzioni, con espressioni volgari e aggressive.
Si passò, quindi, alla cosiddetta stagione dei tecnici, ritenuti più adeguati alla conduzione dell’esecutivo, a causa dell’incompetenza dei politici eletti.
Questo allargò il solco tra lo Stato e il popolo, che diminuì drasticamente la partecipazione alla vita democratica, disertando le urne.
L’insulto sostituì il dissenso, la rissa soppiantò il dibattito e lo scontro si impose sul confronto.
Ma soprattutto si perse un’opportunità preziosa - e forse irripetibile - per un profondo, necessario e radicale rinnovamento culturale.
Non si comprese che l’onestà è una virtù, che non si ottiene col tintinnio delle manette, ma con un paziente, costante e meritorio lavoro educativo.
Giorni fa, quando i magistrati belgi hanno scoperchiato la pentola della malversazione al Parlamento europeo, ci siamo dispiaciuti tutti come cittadini dell’UE.
Da italiani, avremmo preferito che nessuno dei nostri connazionali ne risultasse implicato.
E invece ci siamo dentro fino al collo.
Ancora una volta, la fama di imbroglioni, che da sempre ci accompagna, ha trovato triste conferma nelle carte degli inquirenti.
Sarebbe stato un momento di grande riscatto registrare la mancanza di nomi italiani dagli elenchi degli indagati.
Purtroppo non è stato così: i nomi ci sono e pure i soldi.
È già stato trovato, infatti, circa un milione e mezzo di euro, nelle tasche di sei arrestati, tra cui la vice Presidente del Parlamento, Eva Kaili, il compagno Francesco Giorgi e l’ex deputato Antonio Panzeri, accusato di essere la mente di un’operazione che, a colpi di mazzetta, avrebbe dovuto condizionare la politica europea in favore del Qatar, l’Emirato arabo, sede degli attuali Mondiali di calcio, dove i diritti umani sono notoriamente violati.
A questo punto c’è da augurarsi che l’inchiesta continui ed accerti la verità, individuando tutte le persone interessate.
Ma se alla repressione non si affiancherà la prevenzione, anche questa circostanza risulterà, alla fine, sprecata.
Da Socrate in poi il male è stato associato alla carenza di cultura, che non sempre significa mancanza di studio o di preparazione.
Anche perché, non sono pochi i professionisti impelagati in episodi di corruzione.
La cultura consiste, invece, negli effetti benefici che l’istruzione produce sull’essere umano, ingentilendolo, raffinandolo, migliorandolo, rendendolo colto, ossia fecondo delle migliori virtù.
Raffaele Cantone, che di corruzione si intende, per averla efficacemente combattuta, ha affermato che la scuola è il vero nemico della corruzione e che la cultura e il miglioramento di se stessi sono la condizione essenziale per combattere la corruzione.
Chi ha orecchio per intendere intenda!