
La notizia che un missile russo fosse caduto in territorio polacco, uccidendo due persone, martedì scorso ha tenuto il mondo col fiato sospeso per alcune ore.
Perché, se l’accaduto fosse stato intenzionale, in base all’articolo 5 dell’alleanza atlantica (“Le Parti convengono che un attacco armato contro uno o più di loro in Europa o Nord America sarà considerato un attacco contro tutti loro”), la NATO sarebbe dovuta entrare direttamente nello scontro e, molto probabilmente, il mio pezzo di questa settimana non avrebbe mai visto la luce, per mancanza di autore e lettori.
Una guerra mondiale, infatti, combattuta con armi nucleari, si concluderebbe, in pochi giorni, con la distruzione del pianeta.
Per fortuna, questa eventualità è stata evitata, in quanto i resti del missile finito in Polonia, apparterrebbero alla contraerea ucraina e sarebbero, quindi, caduti in un luogo neutro per un tragico errore, o meglio, per uno spiacevole caso, o meglio ancora, per un fortuito incidente.
Dunque, ancorché ci siano le vittime, non ci sarebbero i colpevoli e, di conseguenza, non ci dovranno essere dei puniti.
Ma si è trattato realmente di fortuna?
Siamo tutti sicuri che la ricostruzione ufficiale corrisponda alla realtà dei fatti?
Questa versione è stata accreditata da tutte le parti in causa, con la sola eccezione dell’Ucraina, che non ha riconosciuto come proprie le schegge dell’ordigno e ha chiesto di poterle analizzare e partecipare alle indagini sull’accaduto.
Desta sospetto che una vicenda così delicata, dalla quale sarebbe potuto dipendere il futuro di tutti noi, sia stata risolta e archiviata in poco tempo.
Nel giro di alcune ore l’allarme è rientrato, senza neppure ricorrere ai toni risentiti e minacciosi, cui le potenze rivali ci hanno sempre abituati.
È, invece, la prima volta, dall’inizio delle ostilità, che Stati Uniti e Russia si trovano concordi e si complimentano a vicenda.
E questo è un ottimo segnale, che denota la ferma volontà di entrambi di non estendere il conflitto e di scongiurare, così, la fine dell’umanità.
Improvvisamente, abbiamo, però, avuto anche la sensazione, che dallo scorso 24 febbraio, in Europa, si pratichi un gioco pericoloso, che alcuni chiamano “operazione speciale”, altri “guerra”, responsabile, finora, di centomila morti, di cui diecimila circa civili e cinquecento minori.
Un terribile, turpe e cinico gioco, che ognuno dice di voler terminare, laddove pare che ciò che sta realmente a cuore è che non diventi una cosa seria.
Evidentemente perché c’è che si sta divertendo e arricchendo, per esempio i produttori di armi, oppure coloro che si occuperanno della ricostruzione in Ucraina, che staranno sogghignando, come quegli avvoltoi intercettati a ridacchiare a telefono, mentre un sisma radeva al suolo L’Aquila, il 6 aprile 2009.
E così, al lungo elenco di vittime russe e ucraine, si dovranno aggiungere i due operai polacchi, Bogdan C. di 59 anni, e Bogusław W. di 62, dipendenti dell’azienda italo-polacca Agrocom, entrambi sposati e con due figli ciascuno.
E se gli altri saranno presto ritenuti eroi dai rispettivi Paesi, perché caduti in combattimento, questi saranno considerati due sfigati, trovatisi nel posto e nel momento sbagliati.
Proprio come i due milioni di persone che, ogni anno, muoiono nel mondo per un incidente sul lavoro.
Un gioco che si rispetti ha le sue regole e un arbitro, che può richiamare e squalificare coloro che non le osservano.
Qui non si è ancora capito chi rivesta questo ruolo, anche perché tanti ci hanno provato (Macron, Erdogan, Xi Jinping), senza successo, non essendo nessuno di loro imparziale.
In questi giorni il Papa ha offerto la sua disponibilità, forse lui potrebbe riuscire, ma non è detto.
Noi non abbiamo preferenze, speriamo solo che l’arbitro si decida a fischiare la fine del match.
Il tempo è abbondantemente scaduto e i tempi supplementari non servono.
A nessuno.