QUESTA SERA ALLE 21 CENA E CONCERTO
Caro Direttore,
ho letto con molto interesse il Tuo articolo sul ripristino della leva obbligatoria e desidero dare un contributo su un tema che esula dal puro contesto militare ma coinvolge, nel più ampio complesso, la dimensione giovanile.
Anche io ho svolto il servizio militare in aeronautica, cinquant’anni fa, ed all’epoca era in corso la guerra arabo/israeliana dello YOM KIPPUR, dalla quale derivò il primo grande shock petrolifero della storia economica dell’occidente, e le strutture aeroportuali di Fontanarossa, base militare interforze ove ho prestato servizio, e di Sigonella vennero poste in stato di allarme rosso.
Pur essendo già laureato e praticante procuratore legale, così si chiamavano all’epoca i giovani avvocati, avevo scelto di non fare l’ufficiale e quindi trascorsi quindici mesi della mia (giovane) vita in un ambiente certamente non facile, per usare un eufemismo, e funestato nei primissimi mesi di naia dagli eccessi, beceri ed idioti, e spesso violenti, o addirittura criminali, di quel deprecabile fenomeno chiamato “Nonnismo”.
Oggi lo si definirebbe un vero e proprio bullismo da branco, tollerato, ed a volte agevolato, da ufficiali e sottufficiali resi complici da una subcultura militare in cui la prevaricazione e l’arroganza erano un bene da tutelare.
Io provenivo da una famiglia in cui il senso del dovere ed il rispetto delle regole e delle gerarchie imposte dalla vita erano il fondamento dell’educazione: mio padre era stato un ufficiale del Regio Esercito, aveva combattuto nella II guerra mondiale, ed era, nella vita civile, un dirigente bancario dai rigidi principi morali.
Alla stregua di tale esempio e di tale educazione mi ritenevo, sul piano personale, quasi esente dall’esigenza di sottopormi alla leva come stile di vita ma nulla feci per evitare la chiamata, e nulla fece mio padre per farmela evitare, e risposi a quello che era un preciso dovere delle generazioni giovanili da Te richiamate.
Nessun entusiasmo, in verità, ma solo un grande senso del dovere ed il primo contatto con la vita militare presso una caserma di addestramento a Trapani fu davvero molto duro, direi tremendo: ordini incomprensibili, a volte deliranti, servizi inutili o al limite della vessazione, igiene inesistente, cibo pessimo, addestramento di pura facciata e pesanti terapie mediche di prevenzione, il misterioso vaccino TABT, inoculato con due impressionanti punture al petto, che oggi farebbe scendere in piazza migliaia di manifestanti.
Per soprammercato scoppiò nel settembre del 73 l’epidemia di colera a Napoli e fummo costretti, noi militari, a subire due ulteriori vaccinazioni, molto ravvicinate alla TABT, poiché vivevamo in un ambiente davvero malsano ed esposto ad ogni pericolo di contaminazione e di contagio: quattro pesanti vaccini in appena due mesi!
E’ stata un’esperienza, quella della leva, che quindi ho subito e che, all’epoca, avrei volentieri evitato giacché interferiva con i miei programmi di lavoro post universitari ma che in verità, una volta conclusa, non posso non annoverare fra le esperienze positive della mia vita.
Ho imparato, in quei giorni, a reagire con coraggio alla prepotenza ed all’arroganza dei c.d. “nonni”, ad affrontare, con forza e tenacia, le difficoltà di una vita impostata al “contrario” di quella civile, ad uscire dalla condizione di figlio di famiglia, anche se di una famiglia poco incline agli agi superflui, per diventare come uno dei tanti giovani commilitoni, in prevalenza provenienti da famiglie non abbienti e non acculturate ma figli di quell’Italia.
In caserma i laureati eravamo appena 6 su 2.500 militari di leva, tutti, o nella stragrande maggioranza, occupati in lavori manuali, agricoltura / edilizia / meccanica, e per i quali la leva era, invece, un felice periodo di riposo dalla fatica del ben più duro lavoro quotidiano.
Ho fatto delle belle amicizie, che ancora durano dopo tanti anni, e mi sono misurato con persone di ogni provenienza sociale ed intellettuale ricevendo da tutti un positivo contributo in termini di umanità e di esperienza.
E, argomento ancor più importante, ho fatto parte di un sistema militare impostato sulla leva obbligatoria, senza distinzioni di classi e rappresentativo di tutte le istanze sociali e di tutte le ideologie politiche presenti nella nazione.
Ho fatto, quindi, parte di forze armate espressioni dell’intero popolo, e non di élite, in cui si forgiava anche il senso dell’appartenenza ad uno stato democratico, come poi emerso dal mancato coinvolgimento delle forze armate italiane in occasione dei tentativi di golpe, pure molto discussi come tali dalla storiografia ufficiale, denominati Piano Solo e Golpe Borghese.
Ed io ne ebbi una diretta conferma poiché nei giorni seguenti l’11 settembre del 1973, giorno del colpo di stato messo in atto in Cile dal generale Pinochet, nessun segnale di nervosismo, nessun segnale di allarme, nessun segnale di coinvolgimento o di adesione venne percepito nella nostra caserma, ed in genere nelle altre forze armate, pur avendo un alleato ingombrante come gli Stati Uniti d’America, massicciamente coinvolti in quel golpe, il cui Presidente era Richard Nixon ed il cui Segretario Generale era Henry Kissinger, due campioni della migliore tradizione espansionistica, anche violenta, degli USA.
Il ritorno alla leva obbligatoria, rivolta a ragazze e ragazzi, potrebbe contribuire alla costruzione di una maggiore coscienza civile e di un maggior senso dello Stato per generazioni in cui i modelli culturali imperanti spingono verso il disimpegno, il consumismo e l’egoismo e condurre nuovamente alla piena attuazione dell’art. 52 della Costituzione: la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge.
Immagino che questo mio intervento potrà non piacere alle migliaia di giovani che, viceversa, si sentirebbero defraudati di un anno di vita ma posso assicurare loro, per diretta esperienza, che la vita restituirà con gli interessi, ed in termini positivi, ciò che potrebbe sembrare il profitto di un “furto” ma che invece tale non è trattandosi di un tratto di vita vissuta, anche per il bene collettivo di una nazione.
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