
Una docente di Lingua tedesca dell’Università di Trento, Federica Ricci Garotti, giorni fa ha scritto ad un noto quotidiano nazionale, per avanzare una proposta provocatoria: chiudere le facoltà umanistiche.
La questione è legata al mondo del lavoro e alle difficoltà che laureati in Lettere, Beni culturali o Filosofia incontrano prima di potervisi inserire.
Molti di loro, prevede la professoressa, saranno costretti nella vita a occuparsi non di ciò che hanno studiato, ma di altro, a volte totalmente di altro, divenendo “i rider, i commessi, gli assistenti senza borsa, le/i segretarie del professionista”.
Nel prosieguo del suo intervento, l’autrice si rivolge a politici e giornalisti, accusandoli di non avere dato alla scuola e all’università la centralità che meritano nel dibattito pubblico, recentemente dominato dai virologi.
Di contro, si continua a parlare di quanto sia importante formare le nuove generazioni, ma ciò risulta essere una macroscopica ipocrisia, se alle belle parole non seguono fatti concreti in favore di quelle istituzioni impegnate, specificamente, nella formazione di esse.
Ora, la prof. Ricci Garotti non ha bisogno di essere né difesa dalle critiche che ha ricevuto, né sostenuta nelle tesi che propugna.
Merita, invece, una breve riflessione il commento in calce di un lettore, soprattutto là dove scrive che, anche alla luce dell’emergenza pandemica, le competenze di cui abbiamo veramente bisogno sono quelle scientifiche (mediche, infermieristiche), linguistiche (parlare tre-quattro lingue straniere) ed economiche.
Quindi conviene smetterla di educare i giovani al “nulla lavorativo”.
In poche parole, altro che provocazione!
La proposta della docente di Trento andrebbe accolta e approvata prima possibile.
Spero – e penso di esserne sicuro – che queste considerazioni riguardino solamente una sparuta minoranza dei lettori italiani.
Tuttavia, a questi pochi vorrei chiedere: nell’esercizio di una professione, qualunque essa sia, in particolare di quella medica, quanto conta l’umanità?
Mi spiego meglio, vi fareste visitare e curare da un medico che sia solo competente, o da chi vi accoglie con un sorriso, vi assiste amorevolmente, non si spazientisce, non si disturba quando lo chiamate durante le ferie, vi dà una carezza durante la sofferenza, non è venale e ha come principale interesse la vostra salute?
Preferite degli imprenditori che aumentano i capitali, sfruttando i loro dipendenti e preoccupandosi esclusivamente del proprio fatturato, o persone coscienziose, rispettose dei diritti dei lavoratori, sensibili alle loro esigenze e attente alle condizioni in cui essi operano?
A capo delle istituzioni volete gente tracotante, che concepisce il suo ruolo come mero esercizio di un potere, o politici, magistrati e dirigenti a servizio dei cittadini?
La cultura umanistica è così definita perché agisce sull’umanità di chi l’acquisisce, ingentilendola, raffinandola, coltivandola.
Si formano, così, persone gentili, fini e colte, cioè profonde, di spessore intellettuale e morale, ironiche, dotate di buon gusto e coscienza critica, tolleranti, inclini al dialogo e alla pacifica convivenza.
Se, invece, i comportamenti si sono, ultimamente, imbarbariti è anche perché è invalsa una mentalità prevalentemente tecnicistica e utilitaristica, funzionale ad una società più prospera ed efficiente.
Il risultato è stato, al contrario, un mondo individualistico, superficiale, banale, volgare, asservito al profitto e avviato verso una ineluttabile autodistruzione, dove i facili guadagni creano vane illusioni e distolgono dal sacrificio e dall’impegno.
Un mondo nel quale l’ignoranza miete consensi, il turpiloquio strappa applausi, la rettitudine è scambiata per ingenuità, la comunicazione è spesso fake e il pensiero unico sta uccidendo il senso critico.
Se continua così, gentilissima prof. Ricci Garotti, non sarà necessario chiudere le facoltà umanistiche, scompariranno da sé.
E il giorno in cui ciò accadrà, l’homo faber si sarà ridotto a solo faber.
E non sarà un bel giorno!