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Intervista a Caterina Chinnici

24-06-2022 07:55

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Intervista a Caterina Chinnici

Mentre pubblichiamo l'intervista il Segretario Barbagallo annuncia che Caterina Chinnici è la candidata del PD alla presidenza della Regione Siciliana

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Ante scriptum: mentre pubblichiamo l'intervista il Segretario Regionale Anthony Barbagallo annuncia che Caterina Chinnici è la candidata del Partito Democratico alle primarie per l'elezione del Presidente della Regione Siciliana.


Buongiorno Onorevole e grazie di avere accettato il nostro invito.
Un Suo collega ormai in pensione, Michele Marchesiello, ha intitolato un libro, uscito qualche anno fa, Politica e magistratura, la vocazione della responsabilità. Condivide questa definizione? Se sì, può raccontarci come e quando Lei ha sentito le due vocazioni?


Penso che la parola responsabilità si accosti perfettamente e immancabilmente alle altre due, magistratura e politica. Responsabilità che si hanno e che si prendono, ma nella mia personale visione anche responsabilità come tratto della personalità.

Magistratura e politica sono materia delicata e importante, ma se parliamo di vocazione vera e propria, quella riguarda la mia carriera di magistrato.

Sono cresciuta seguendo l'impegno di mio padre e maturando giorno per giorno la volontà di svolgere quella professione.

In un certo senso sono stata magistrato fin da piccola, ho sempre sentito che quello sarebbe stato il mio futuro.

L’aria del palazzo di giustizia a volte mi capitava di respirarla anche da ragazzina.

Con la politica è diverso. Per me è unicamente servizio alla collettività, un modo diverso per portare avanti un impegno civico.

Per esempio lavorando, nel caso del Parlamento Europeo, al potenziamento della normativa Europea contro la criminalità organizzata, con la proiezione su scala sovranazionale di alcuni capisaldi del nostro sistema antimafia come, fra l'altro, il coordinamento giudiziario, che trova espressione nella Procura Europea istituita di recente, un prolungamento dell'idea di metodo da cui nacque il pool antimafia, e ancora le misure di prevenzione patrimoniale, di cui vediamo un riflesso nel regolamento UE sul mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca e congelamento adottati anche in assenza di condanna". 

 

Nell’esercizio della Sua professione, è mai capitato a Lei, che è stata uditrice di Paolo Borsellino, di pensare: questo me l’ha insegnato Paolo?


Paolo Borsellino è stato per me un vero maestro, un modello di magistrato da seguire per la sua esperienza e la sua saggezza. La severità apparente, il rigore e la profonda umanità lo rendevano tanto simile a mio padre.

Durante il mio tirocinio all'Ufficio istruzione del tribunale, passavo le giornate a studiare i suoi fascicoli e i suoi provvedimenti, lo affiancavo nell'attività istruttoria.

Dalle sue parole e da ognuno di quei momenti ho potuto trarre insegnamenti, e sono stati davvero tanti.

Ricordo, in particolare,  quando per la prima volta mi portò con sé al carcere per un interrogatorio.

Si trattava di un imputato per omicidio e non mi ero mai trovata in una situazione come quella.

Ero molto turbata, quasi mi tremavano le gambe.

Farsi raccontare un omicidio mantenendo lucidità, distacco e professionalità è la cosa più difficile.

Paolo, ponendo le domande con fermezza e al tempo stesso con rispetto per la sofferenza di chi aveva di fronte, comunque una persona sottoposta a restrizioni della libertà, mi dimostrò che era possibile gestire quel tipo di situazione e farlo con equilibrio.

 

Seguendo le vicende del pool antimafia, soprattutto nella stagione più felice, ma non solo in quella, Le è successo di continuare a vedere, o a riconoscervi, l’operato di Suo padre?


Sicuramente.

Dopo l'uccisione di mio padre, il pool che lui aveva creato, ormai istituzionalizzato dal suo successore Caponnetto, continuò a operare applicando la stessa metodologia.

E in realtà, quell'eredità è sopravvissuta ben oltre i confini temporali del pool, fino ai giorni nostri.

Se 5 anni più tardi l’attività di quel gruppo di lavoro fu interrotta, ma non prima dello straordinario successo raggiunto con il maxiprocesso alla mafia, il coordinamento investigativo e giudiziario e lo scambio di informazioni sono tutt'ora capisaldi dell'antimafia e delle strategie di lotta alla criminalità organizzata, con sviluppi importantissimi anche su scala sovranazionale.

Segno che è stata un'idea vincente quella di mettere in condivisione le informazioni sulle varie inchieste per reati di mafia, che in precedenza, invece, i magistrati conducevano in solitaria, senza visione d'insieme sui fatti oggetto di indagine, sui collegamenti tra gli uni e gli altri, sul fenomeno nel suo complesso.

 

Si dice che, oltre alla tensione e alle tante amarezze, questi magistrati vivessero anche momenti più lievi, nei quali Falcone e Borsellino, in particolare, erano soliti scherzare, prendendosi in giro.

Anche Suo padre vi partecipava? C’è un episodio inedito e simpatico, cui le è capitato di assistere, o che Le è stato riferito da lui, che ci vuole raccontare?


I pericoli ai quali erano esposti, le tensioni con le quali dovevano convivere, il clima di isolamento in cui lavoravano, che poi Borsellino, nella sua prefazione a "L'illegalità protetta", non esitò a definire una palude, erano certamente un fardello, ma loro non persero mai la voglia e la forza di ritagliarsi momenti di leggerezza, facendo gruppo anche fuori dall'ufficio.

Penso che questo, oltre a essere un risvolto naturale della loro amicizia, fosse anche un modo per esorcizzare quelle tensioni.

Mio padre, che soprattutto nei primi tempi aveva con loro un atteggiamento paterno, come lo aveva con tutti i giovani magistrati, era partecipe ma a volte anche artefice di quei momenti.

Ne ho raccontati alcuni nel mio libro "È così lieve il tuo bacio sulla fronte".

Per esempio il rito dell'accoglienza in famiglia per i nuovi colleghi magistrati, che prendevano servizio all'Ufficio istruzione: quando toccò a Falcone, papà improvvisò un invito a pranzo, gettando nello scompiglio mamma appena rientrata dal lavoro e un po' tutti noi, rompendo lo schema di una certa formalità tipica dell'epoca, ma la nostra serena normalità sciolse presto tutti gli imbarazzi.

Potrei dire anche delle sue performance ai fornelli, come nella trasferta a Pantelleria con la famiglia Borsellino: gli piaceva cucinare per tutti, preparava i rigatoni alla Chinnici, gli anelletti alla palermitana e la pasta con le sarde, l'unica che io abbia mai mangiato.

L'episodio più divertente è forse quello che lui un giorno ci raccontò: negli anni delle uccisioni, alcuni magistrati andavano via dall'ufficio e altri giovani arrivavano, così lui, approfittando dell'atmosfera più easy che con loro si era creata, organizzò un concorso di bellezza tra i magistrati della procura.

Parteciparono tra gli altri Giuseppe Ayala e Pietro Grasso, che se ben ricordo fu il vincitore.

 

Lei stessa ha definito Rocco Chinnici un visionario, quale delle sue “visioni” si è avverata nel tempo?


Più d'una.

Potrei citare la sua intuizione di seguire i flussi di denaro, avviando le primissime indagini bancarie, motivo per cui volle nel proprio gruppo di lavoro Giovanni Falcone, che presso il Tribunale civile aveva a lungo lavorato nella Sezione fallimentare. Ho già detto di cosa significhi ancora oggi l'idea ispiratrice del Pool, e ci sono poi le battaglie, che insieme a Gaetano Costa, condusse affinché venisse sancita per legge la specificità del reato di associazione di tipo mafioso, cosa che avvenne con la legge Rognoni-La Torre.

Voglio qui ricordare, però, un'altra sua intuizione fortemente innovativa e della quale non si parla mai.

In quegli anni lui aveva cominciato a dare indicazioni direttamente alla polizia giudiziaria, coordinandone l'attività anziché lavorare soltanto sulle carte che la polizia produceva di propria iniziativa.

Non era previsto e subì aspre critiche per questo, gli arrivò anche una lettera di richiamo, ma qualche anno dopo, nel 1989, questa sua prassi diventò legge con il nuovo codice di procedura penale, che pose, e ancora oggi pone, la polizia giudiziaria alle dipendenze funzionali del pubblico ministero.

 

Il Papa ha detto che gli uomini e le donne, a prescindere dalla fede, possono percepire il perdono come un diritto, quando è invocato da chi ha compiuto del male. Le domando cosa ne pensa Lei e se qualcuno ha mai chiesto perdono a Lei o alla Sua famiglia.


Nessuna invocazione, no.

Il perdono è stato comunque la nostra scelta.

Nostra mamma è stata la prima a compierla, indicandoci la strada.

Quella giusta per noi figli, che l'abbiamo seguita.

Una scelta da rinnovare ogni giorno, difficilissima, ma l'alternativa sarebbe stata la rabbia che è solo un castigo, che avrebbe significato soltanto continuare a subire ciò che era accaduto senza poter far nulla.

Papà non lo avrebbe voluto.

I suoi insegnamenti e il rispetto per il suo impegno ci hanno dato grande forza.

Siamo sopravvissuti, non vittime.

Ricordo sempre queste parole pronunciate durante il suo funerale dal cardinale Pappalardo: “non adattiamoci passivamente e fatalisticamente al male ma vinciamolo con il bene che faremo, contrastiamo le opere di morte con aiuti alla vita".

 

Molti ragazzi hanno conosciuto Suo padre attraverso le fiction.

Lei, di solito, le vede? Pensa che abbiano un’efficacia anche sul piano educativo?


Le fiction sono uno strumento come un altro per trasferire memoria e, se fatte in aderenza alla sostanza delle cose, pur con gli inevitabili adattamenti narrativi che una sceneggiatura richiede, possono certamente raggiungere l’obiettivo.

I giovani di oggi non hanno vissuto quei fatti, spetta a chi c’era raccontarli ed è fondamentale farlo.

Si tratta di raccontare storie vere di persone normali che, con coraggio e forte spinta morale, hanno portato avanti nel loro lavoro un impegno straordinario, che in molti casi hanno pagato con il sacrificio della vita ma che, in quel periodo storico, hanno salvato la tenuta democratica dello Stato e dato una scossa determinante alle coscienze.

Le nuove generazioni devono sapere tutto ciò, bisogna mantenere vivo questo patrimonio di conoscenza, che è anche di consapevolezza collettiva, e i giovani stanno al centro.

Mio padre parlava con loro andando nelle scuole, e anche per questo fu criticato, io stessa faccio tanti dialoghi nelle scuole sulla legalità, ma senz’altro la cultura in tutte le sue forme ed espressioni è un veicolo fondamentale.

 

In politica ha avuto punti di riferimento cui ispirarsi?


No. Come ho detto, la politica è un modo diverso, uno spazio diverso in cui dare espressione a quello che per me è, e rimane, innanzitutto un impegno civico.

E in questo il mio punto di riferimento, fonte di ispirazione, è sempre lui, mio padre.

 

Qual è il risultato conseguito da parlamentare europea di cui è più fiera?


Rilancio. Devo indicarne almeno tre, benché siano molti di più, e li dico in ordine puramente cronologico.

Il primo è la direttiva europea sulle garanzie procedurali per i minori sottoposti a procedimento penale, di cui sono stata relatore principale, in sostanza il primo modello di giusto processo penale minorile europeo.

Un provvedimento importante, perché sappiamo quanto lo svolgimento a misura di minore delle varie fasi di una vicenda giudiziaria incida positivamente sulla riduzione del tasso di recidiva.

Poi l’istituzione della Procura Europea, di cui ho già parlato prima.

Ci ho lavorato da relatore ombra.

Si è trattato di un’innovazione storica, perché nell’architettura dell’Unione Europea la Procura è il primo organo con autonomi poteri di indagine penale, per ora limitati ai reati finanziari, ma con l’obiettivo di un ampliamento della competenza a tutta la criminalità grave transfrontaliera.

E poi due atti pubblicati simultaneamente dalla Commissione Europea nel 2021, frutto anche del lavoro dell’Intergruppo del Parlamento Europeo per i diritti dei minori, che ho co-fondato e di cui sono co-presiedente: la Strategia sui diritti dei minori 2021-2027 e la Child guarantee per la lotta alla povertà infantile.

 

Quanto dista il Palazzo di Giustizia da Bruxelles?
 

Tanto e poco, se vogliamo.

Due mondi separati e diversissimi, ma in fondo il mio impegno civico, attraverso la politica, si sviluppa su materie in cui metto a frutto la mia formazione giuridica e la competenza maturata negli anni di lavoro in magistratura

 

Pensa di proseguire il Suo impegno politico o tornerà a fare il magistrato a tempo pieno?
 

Chi può saperlo? La sola certezza è che ho ancora due anni di legislatura europea.

 

Tra i tanti che ne ha, vuole consegnarci due ricordi personali di Rocco Chinnici padre e collega?


Il padre che mi accompagnò al concorso per entrare in magistratura e restò per tre giorni impalato davanti al palazzo dei congressi di Roma, fermando i figli di altri magistrati o i miei compagni di università usciti, dopo aver consegnato il tema di diritto civile, per chiedere loro cosa io stessi facendo, se fossi serena, se stessi scrivendo.

Il magistrato che durante il mio tirocinio vedevo appartarsi con Falcone e Borsellino in un angolo o in ascensore, lontano da tutti, per scambiarsi informazioni sottovoce. Era già il pool antimafia, è nato così. 

 

Grazie ancora, Onorevole e buon lavoro.
 

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