
Nel suo lungo e atteso discorso pronunciato subito dopo il giuramento, Sergio Mattarella ha più volte parlato dei giovani.
Si è riferito ad essi, innanzitutto auspicando “un’Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro, per garantire la coesione del nostro popolo”.
Parole ponderate e soppesate, che individuano, addirittura, una connessione tra lo studio, la vita e l’unità nazionale.
Concetto, quest’ultimo, espresso da chi lo impersona per dovere costituzionale.
È così emersa una visione della cultura non più scollata dalle esistenze dei ragazzi, come spesso viene percepita, ma intrecciata ad esse, attraverso un legame che diviene percorso, ossia storia personale, opportunità e prospettiva.
E, inoltre, un efficace ingrediente necessario a ricompattare un popolo che, a volte, appare eroso da polemiche sterili e insignificanti, da congetture retrive e pregiudizievoli, da divisioni inutili e pretestuose, come quelle che hanno, di nuovo, impedito al Parlamento di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica.
In tal modo, Mattarella ha focalizzato le radici umanistiche del nostro patrimonio, l’attitudine alla relazione dell’essere umano, che scaturisce dalla sua razionalità e, dunque, dal suo essere persona.
Parlando poi della politica, il Capo dello Stato ha chiesto ai giovani di “prendere il futuro sulle loro spalle, portando nella politica e nelle istituzioni novità ed entusiasmo”.
A dispetto dei suoi ottant’anni, o forse proprio per questo, il Presidente ha denunciato il bisogno di un vero rinnovamento della politica, non tanto sotto il profilo anagrafico, ma qualitativo.
Egli ha espresso il desiderio di una classe che riscopra ideali e motivazioni, capace di assumere impegni con coerenza e responsabilità, ma soprattutto che sia dotata di quell’entusiasmo, che è indispensabile per la realizzazione dei progetti più ardui e coraggiosi.
L’entusiasmo, secondo Platone, è, infatti, la condizione di chi crede di avere Dio dentro di sé e agisce, pertanto, in maniera disinteressata, distaccata dalle convenienze personali e concentrata esclusivamente sul bene della polis.
Mattarella si è anche soffermato sull’importanza della cultura “come elemento costitutivo dell’identità italiana”.
In una società liquida, in cui nulla è più certo e definitivo, anche la nozione di “identità” è stata soppiantata da quella di “identificazione”, che indica processi di trasformazione costanti e irrefrenabili.
Con buona pace di chi, in difesa dell’identità, costruisce muri e steccati, Mattarella ha invece parlato di un’identità costruita sulla cultura e non sulle ideologie.
E quindi, perciò stesso, inclusiva, aperta, accogliente, solidale, sensibile alle novità, attenta ai bisogni altrui, rispettosa di quella dignità, che il Presidente ripete ben diciotto volte nel prosieguo del suo discorso.
E infine il Capo dello Stato ha parlato di “una scuola che sappia accogliere e trasmettere preparazione e cultura, come complesso dei valori e dei principi che fondano le ragioni del nostro stare insieme; volta ad assicurare parità di condizioni e di opportunità”.
Egli ha usato due verbi (accogliere e trasmettere) che indicano movimenti di senso opposto.
È dunque imprescindibile che le istituzioni scolastiche non rinuncino ad aggiornarsi e si adoperino per un’offerta formativa di qualità, basata sulle esigenze e sulle aspettative degli studenti.
Mattarella vuole una scuola che prepari, che insegni principi e valori, che sappia cioè educare, accompagnando gli alunni nei sentieri sempre più difficili delle loro vite.
Per questo chiede che essi siano ascoltati, per superare insieme “squilibri e contraddizioni”, a cominciare dalla morte assurda di Lorenzo Parelli.
Se, infatti, non si può mai accettare la morte di un diciottenne, quella del giovane di Udine è pure scandalosa, perché avvenuta durante un’attività richiesta dalla scuola, ma svolta in uno stabilimento metallurgico.
L’ansia di veicolare i ragazzi dai banchi di scuola ai posti di lavoro ha purtroppo causato delle carenze culturali difficilmente colmabili.
Ma il tragico evento del 21 gennaio scorso e gli altri incidenti meno gravi che l’hanno preceduto, costituiscono una pesante stortura, che impone al legislatore una severa riflessione sull’alternanza scuola-lavoro o, come si chiama da qualche tempo, sui pcto.
Non credo ci sia più tempo per aspettare, ne va della vita di milioni di ragazzi ai quali, per citare ancora Mattarella, è dignità assicurare il diritto allo studio.
Possibilmente in un’aula scolastica.