Io non so se, quando queste mie considerazioni saranno pubblicate, avremo il nuovo Presidente della Repubblica.
Rimane, comunque, il fatto che lo spettacolo offerto dalla politica in questi ultimi giorni è stato molto indecoroso.
Non tanto per il tempo impiegato, visto che anche in passato, si faticava a trovare un accordo e le votazioni si protraevano per giorni e giorni.
Ma per il modo in cui tutta la vicenda è stata finora gestita.
La prima banale osservazione, più volte condivisa dagli analisti, è la impreparazione con la quale si è arrivati al fatidico 24 gennaio.
In un momento così delicato e, per certi aspetti, inedito nella storia del Paese, una candidatura capace di raccogliere il consenso di tutto il parlamento, poteva essere cercata molto prima.
Vero è che l’elezione di Sandro Pertini, avvenuta poche settimane dopo l’assassinio di Aldo Moro, si concretizzò solamente al sedicesimo scrutinio.
Ma allora, nei giorni precedenti, erano già stati proposti nomi autorevoli (Amendola, Vassalli, Nenni, Gonella, La Malfa) e, benché nessuno di essi avesse raggiunto il quorum richiesto, l’opinione pubblica attribuiva quel ritardo alla difficoltà di trovarne uno tra tanti.
Oggi, invece, si è convinti che non si riesca a individuare un candidato valido, perché non ce n’è.
Non voglio dire che su 56 milioni di Italiani non ce ne sia uno degno di trasferirsi al Quirinale, ma che i capi di partito non riescono ad esprimerlo.
E qui giungiamo alla seconda questione, quella che riguarda i leader o, meglio, i presunti tali.
È sotto gli occhi di tutti lo scollamento tra chi sta al vertice di un soggetto politico e il suo gruppo di elettori.
I vari summit che si succedono non approdano a nulla di concreto, perché gli interlocutori non sono sicuri che un eventuale impegno sottoscritto con gli altri, venga poi rispettato in aula.
Non mi sto riferendo ai franchi tiratori, che sono sempre esistiti nelle assemblee a scrutinio segreto, ma a un fenomeno che si è accentuato quando, dopo il superamento delle ideologie, le forze politiche non hanno più perseguito un progetto coerente con la propria dottrina.
Di conseguenza, l’appartenenza ad un partito e il rispetto delle sue indicazioni, sono subordinati alla convenienza personale.
In questo momento sembra che la vera preoccupazione della maggior parte dei grandi elettori non sia quella di dare un presidente al Paese, in breve tempo, ma di scongiurare uno scioglimento anticipato delle camere che non assicurerebbe a molti di loro la rielezione.
A rendere più complesso il contesto, la decisione del presidente Fico di non effettuare più di una votazione al giorno fino al 27 gennaio, a causa della pandemia, che impone la sanificazione dell’aula al termine di ogni operazione.
In tal modo, c’è il rischio che si arrivi alla scadenza del mandato di Mattarella e dunque ad un vuoto di potere senza precedenti, colmabile o attraverso una prorogatio del presidente uscente o ricorrendo ad un supplente. L’auspicio è che ciò non accada e che la soluzione non tardi a venire.
Anche perché non possiamo permetterci di stare senza il capo dello Stato, istituzione che, soprattutto negli ultimi tempi, ha continuato a infondere fiducia nei cittadini o, quanto meno, a non farla perdere del tutto. Inoltre, una situazione internazionale in pericolosa evoluzione, un numero di vittime giornaliere da covid ancora troppo alto e la conseguente crisi economica nella quale versiamo, richiedono un ordinamento politico solido e sicuro.
Ed infine, l’elezione del nuovo presidente allontanerebbe la tentazione di chi vorrebbe passare ad una sorta di presidenzialismo, ovvero di elezione diretta, con lo stravolgimento di quella carta costituzionale che ha dimostrato di essere, sino ad oggi, la nostra vera ancora di salvezza.