Dopo avere appurato che Babbo Natale esiste, un altro mito natalizio ha avuto conferma in questi giorni, quello della Befana.
Di essa ha avuto un amaro riscontro il tennista Novak Djokovic, a cui la vecchietta, che di notte passa in tutta fretta, ha lasciato un bel po’ di carbone, nella logora sua calzetta.
Ormai, infatti, è ufficiale: l’Australia ha negato il visto d’ingresso al campione serbo, che, dunque, non potrà partecipare agli Australian Open, previsti a Melbourne dal 17 al 30 gennaio prossimi.
Motivo dell’esclusione è il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione, così come stabilito dal regolamento del torneo e dalle leggi dello Stato ospitante.
Dapprima era sembrato che le autorità fossero inclini ad accettare l’esenzione esibita dal grande sportivo, ma dopo il suo atterraggio, Djokovic è stato fermato in hotel, sottoposto ad un lungo interrogatorio, al termine del quale è stata comunicata la decisione di non concedergli il permesso d’entrata e, di conseguenza, di estrometterlo dalla gara.
Non è chiaro a cosa si debba quest’improvviso cambio di posizione.
Pare che non siano state giudicate sufficienti le ragioni che dispenserebbero dal vaccino l’interessato, visto che non soffrirebbe di alcuna forma di intolleranza.
Inoltre, non è neanche chiaro quando Djokovic abbia contratto il virus, per verificare se sia trascorso il tempo necessario tra la guarigione e la somministrazione della fiala immunizzante.
Personalmente ritengo, tuttavia, che decisivo debba essere stato il moto d’indignazione mondiale, sollevatosi contro di lui, anzi contro quella che sarebbe stata una clamorosa e inaccettabile ingiustizia planetaria.
Beninteso, qui non si vuole discutere, né tanto meno contestare un orientamento politico o ideologico che, nella fattispecie, è notoriamente no vax.
Anzi, dal mio punto di vista, ogni idea va comunque rispettata, molto di più quando non è condivisa.
Ma se la libera espressione del pensiero è uno dei capisaldi della contemporaneità (liberté), essa non va dissociata dagli altri due: fraternité e, soprattutto, egalité.
Quest’ultima non è subordinata alle capacità di un individuo, al suo talento artistico o sportivo, al suo potenziale redditizio (pensiamo al danno che ne avranno gli sponsor), alle sue doti intellettuali, alla posizione sociale o istituzionale.
Ma scaturisce da una grandezza, connaturata ad ogni essere umano, che si chiama dignità.
Anzi, chi ha delle responsabilità che lo pongono in una condizione di maggiore visibilità, messo alla prova, deve dare esempio di rettitudine e senso civico, per evitare che gli eventuali suoi diritti siano scambiati per privilegi.
Come ha fatto Sergio Mattarella, che ha aspettato il proprio turno in un centro vaccinale della capitale, dopo avere atteso quello anagrafico che, lo ricorderemo, dava la precedenza agli ottuagenari.
Trattare i potenti alla stregua degli altri garantisce, d’altro canto, che i deboli non siano discriminati, bistrattati o, in alcun modo, penalizzati.
Quanti bravissimi professori, ad esempio, sono stati sospesi dal servizio e non percepiscono lo stipendio perché non vogliono, taluni non possono, vaccinarsi!
E l’elenco potrebbe continuare con tanti dipendenti, pubblici e privati.
Collaboratrici familiari, badanti, baby sitter, che sono state addirittura licenziate perché sprovviste di green pass.
Quale spiegazione si sarebbe potuto dare a costoro se un miliardario come Djokovic, il cui stipendio è di circa 117.414,77 euro al giorno, fosse stato favorito così sfacciatamente?
Non v’è dubbio che senza di lui il torneo sarà più povero e non solo economicamente: ci sarà minore spettacolo e lo sport non godrà delle prodezze di uno dei più grandi campioni di tutti i tempi.
Ma la giustizia chiede, talora esige, che si paghi un prezzo, a volte molto salato.
A Critone che lo induce ad evadere, anziché sottoporsi alla condanna a morte, Socrate risponde: “[…] E se ci apparirà chiaro che di un’azione ingiusta si tratta, cerchiamo di non preoccuparci di dover morire o di subire qualsiasi altra pena (e restiamo con tranquillità al nostro posto), dandoci pensiero, piuttosto, di non commettere un’ingiustizia”.
I legali di Djokovic, com’era prevedibile, si sono appellati e lunedì prossimo si conoscerà il verdetto del magistrato.
Non possiamo che sperare che, se c’è un giudice a Canberra, questa lezione di civiltà, offerta al mondo dall’Oceania, non subisca arretramenti, ma vada sino in fondo.