Il picco della quarta ondata Covid deve ancora arrivare, ma i pronto soccorso catanesi sono già al collasso. E la gente muore in barella senza che qualcuno dalla "cabina di regia" dia cenni di avere un piano per fronteggiare la nuova emergenza.
Sarà bellissima? Per ora è un disastro.
Tra le pagine di SUD abbiamo sempre preferito non cavalcare l’onda dei numeri Covid.
Mai.
Neanche quando ad inizio pandemia e la nazione in lockdown sembrava essere l’unica notizia da dare. Abbiamo sempre cercato di essere cauti per non generare panico immotivato, lasciando agli esperti il difficile compito di comunicare la realtà dei fatti.
Ma quando ci arrivano notizie come quelle che da qualche giorno riceviamo, non possiamo fare a meno di accendere i riflettori.
Lunedì 3 gennaio una donna di 54 anni, affetta da covid, è deceduta sulla barella del pronto soccorso del Policlinico Gaspare Rodolico: era lì, in attesa di un posto letto, da 31 ore.
“Non sono in grado di dire se la terapia intensiva l’avrebbe salvata”, ci racconta il dott. Luca Ruggeri, medico dell’azienda ospedaliera Policlinico di Catania e rappresentante sindacale UIL. “La donna era broncopatica cronica, ma la barella di un pronto soccorso non è il posto che le spettava. Eppure, nonostante tutti gli sforzi e le forze messe in campo dall’azienda ospedaliera, a quella donna, come a tanti altri non siamo riusciti a trovare un posto in reparto”.
Sono almeno 20 i pazienti in barella in attesa di un posto letto solo tra il Policlinico e il San Marco. E la cosa più grave è che queste decine di pazienti positivi in attesa di ricovero nei PS sono "fantasmi": non contribuiscono ad incrementare il tasso di ricoveri.
“Non è possibile essere costretti a tenere i pazienti covid al pronto soccorso per 2 o 3 giorni. E non è giusto che ci muoiano”, prosegue Ruggeri.
E questo perché mentre i contagi viaggiano a una media di 5.000 positivi al giorno (una media 4 volte più alta dello stesso periodo del 2021) nessuno nella “cabina di regia” aveva un piano per l’emergenza.
“Penso che ci sia stato un tentativo di smorzare i toni, che non ci sia la giusta informazione”, prosegue Ruggeri.
“L’alta percentuale di vaccinati aveva fatto supporre che si sarebbero ridotti i numeri degli ospedalizzati ma non è stato così e nessuno si prende la briga di dire che i pronto soccorso sono in sofferenza”.
“Il picco deve ancora arrivare - prosegue Ruggeri - noi in corsia ne siamo consapevoli. Occorreva un piano regionale che prevedesse un ampliamento dei posti letto Covid in caso di crisi del sistema attuale e invece nessuno ha provveduto. Al Policlinico abbiamo raddoppiato il pronto soccorso (da poco più di un mese aperto il nuovo PS del S. Marco, ndr) ma abbiamo il 50% di posti letto Covid in meno rispetto alla prima ondata”.
Infatti, nonostante il Direttore Generale e l’azienda ospedaliera abbiano messo in campo ogni strategia possibile in termini di personale e presidi, l’apertura dei nuovi reparti presso il S. Marco voluta dal Governo Regionale ha di fatto ridotto del 50% i posti riservati ai malati covid.
“Riusciamo a gestirli in pronto soccorso, ma tanti avrebbero poi necessità di proseguire il percorso in reparto e non sappiamo dove mandarli. E il problema non è solo al Policlinico. Abbiamo pazienti che attendono in pronto soccorso per giorni e parliamo di pazienti anche gravi, affetti da plurimorbilità. Altri sono spesso anziani, ultra ottantenni e ultra novantenni, che non possiamo rimandare a casa perché non hanno nessuno che li aiuti nelle cure e nella ripresa".
"Andavano predisposti alberghi covid, strutture di accoglienza per chi potrebbe proseguire il percorso a casa ma non può"
“L’alta percentuale di vaccinati aveva fatto sperare che la percentuale di ricoveri non fosse alta come durante la prima ondata”, prosegue il dott. Ruggeri. “Invece abbiamo lo stesso numero di ingressi covid della prima ondata che si sommano agli ingressi ordinari di pronto soccorso. Durante la prima ondata le persone avevano paura di venire in ospedale, adesso invece abbiamo tanti ingressi anche di altre patologie che non sia il coronavirus”.
“Abbiamo percorsi separati, ogni ingresso (anche i non Covid) viene monitorato come potenziale caso covid e se il risultato dello screening risulta positivo cambia il circuito di cura. Ma anche questo strumento messo in campo è soggetto ad abusi. Spesso ci ritroviamo ad avere a che fare con persone che fingono sintomi per ottenere un tampone gratuito. E ricevuto esito positivo decidono di tornare a casa o semplicemente si dileguano. Il sistema registra ogni ingresso, ma in questo modo viene comunque meno il tracciamento”.
“Non c’è fiducia nei medici di base, che dal canto loro non si assumono alcuna responsabilità circa le cure, e le guardie mediche latitano. Ma quello che è più grave è che non c’è fiducia nei vaccini".
"La quasi totalità dei ricoveri gravi è di non vaccinati ed entrando nei reparti chiunque sarebbe in grado di riconoscere i ricoverati non vaccinati da quelli vaccinati".
"Il vaccino funziona - prosegue Luca Ruggeri - ma la gente continua ad avere più timore di quello piuttosto dei sintomi del covid che ogni giorno noi medici vediamo in ospedale”.
“E l’impennata di contagi - conclude Ruggeri - si era già manifestata ad inizio dicembre. Ci sarebbe stato il tempo di mettere in campo un piano d’emergenza per fronteggiare l’ondata e dare ai cittadini l’assistenza sanitaria che meritano. Invece si è preferito smorzare i toni”.