Quando lo scorso 22 settembre gli indagati dell'inchiesta "Università Bandita" sono stati rinviati a giudizio quasi quasi brindavano gli scienziati imputati per il fatto che il GUP Marina Rizza aveva ritenuto non sussistenti gli estremi per portarli a processo anche per associazione a delinquere, come se gli altri reati per cui finivano alla sbarra fossero di minore pesantezza: corruzione, falso, abuso d'ufficio.
La motivazione del ricorso è eminentemente tecnica: secondo la Procura la decisione del GUP «è frutto di una un’errata applicazione della legge processuale, avendo il Giudice oltrepassato i limiti entro i quali è consentita la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere».
L'opinione pubblica, definiamola così, aveva subito scontato la decisione del giudice come una sorta di affievolimento delle varie posizioni, come se le migliaia di pagine redatte dalla DIGOS con intercettazioni allucinanti che descrivevano un sistema di malaffare senza precedenti non fossero altro che normale amministrazione di un sistema basato sullo scambio di riverenze e cooptazioni familiari.
Come fosse normale o quasi.
COL CAVOLO, QUELLO CHE È ACCADUTO E ACCADE ALL'UNIVERSITÅ DI CATANIA NON HA NIENTE DI NORMALE E MEN CHE MENO DI TOLLERABILE.
Quelle intercettazioni fanno schifo, descrivono gentaglia senza Dio e senza vergogna che ha distrutto l'Università di Catania, condizionato il futuro di interere generazioni, condannato la città alla mediocrità e alla miseria, annientato intere famiglie di quelli che questi "signorotti" ritenevano "merde da schiacciare", i tanti docenti e ricercatori umiliati e inibiti nelle carriere solo perché non sottostavano alle loro brame di potere, solo perché non rispettavano i "turni".
UNO SCHIFO, al di là di qualsiasi qualificazione giuridica o giudiziaria: UNO SCHIFO.
In una città minimamente civile gente simile non sarebbe più dovuta uscire da casa, e invece mantengono tutti le loro posizioni, alcuni persino promossi e financo ringraziati per il brillante "servizio reso".
UNO SCHIFO.
Adesso sui quei brindisi improvvidi e spudorati è piombata la scure della decisione della Procura di Catania di ricorrere contro la decisione del GUP di escludere l'associazione a delinquere: per gli inquirenti si tratta di un'associazione criminale eccome.
Ed emerge come sintomo di una continuità pelosa e pericolosa la decisione dell'attuale rettore Francesco Priolo di non costituirsi parte civile nei vari processi penali, come anche la pervicacia con la quale continuano a non eseguire le sentenze amministrative che li condannano: chi o cosa il rettore Priolo intende tutelare non costituendo l'istituzione pubblica in un procedimento così importante? In questo caso il segnale è chiarissimo.
Mentre non è compito delle procure lanciare segnali, le procure devono fare il loro mestiere trovando le prove sostenendole nei dibattimenti, ma quando lo fanno bene svolgono un servizio supplementare consentendo la conoscenza di fatti altrimenti occultati: a prescindere dagli esiti penali che seguono il loro corso e spesso seguono dinamiche difficili da comprendere.
Ma il resto deve farlo la Città, che quando viene a conoscenza di questi fatti, adeguatamente documentati, deve reagire senza attendere le sentenze, deve riuscire a sanzionarli socialmente quando viene messo a rischio l'Interesse Generale.
Perché non è grave il fatto che in una istituzione ci siano corrotti, profittatori, nepotisti, può capitare ed è anche fisiologico entro certi limiti, la cosa gravissima ed insuperabile è che una volta scoperti restino ai loro posti, siano addirittura confermati, protetti, tutelati.
Adesso non occorre attendere la valutazione della Cassazione, la cosa più significativa è già accaduta: il tentativo arrogante di mistificare gli esiti dell'udienza preliminare facendo credere che l'impianto accusatorio della Procura potesse risultare affievolito e che tutto potesse risolversi come tempesta in bicchier d'acqua, con questo ricorso della Procura è stato rispedito al mittente.
E LA VERGOGNA TORNA TUTTA INTATTA.
La risposta finale, tuttavia, non potrà darla neanche la Cassazione e nemmeno la Corte Costituzionale: dovranno darla i tanti docenti corretti e, soprattutto, i tanti studenti che devono tornare ad iscriversi all'Università di Catania pretendendo, PRETENDENDO, che torni quella di un tempo, un tempo che ormai nessuno ricorda più ma che tutti sappiamo esserci stato.
E TORNERÁ!
Ne va del futuro di Catania.
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