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"Università Bandita" e d'intorni: interviene l'ex rettore Tony Recca

25-11-2021 07:00

Tony Recca - già Rettore UniCT

Cronaca, Università, Focus,

"Università Bandita" e d'intorni: interviene l'ex rettore Tony Recca

Riceviamo e pubblichiamo

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L'ex rettore dell'Università di Catania Tony Recca, dopo aver seguito la diretta da noi trasmessa dei lavori del convegno dal titolo "Università Buona", ci ha inviato alcune considerazioni, assegnandogli lui stesso il titolo:  

 

"Inchiesta di Catania Università Bandita: riflessioni a freddo di un ex rettore già inquisito."
 

Nel 2010, era contestato il vecchio sistema dei concorsi che si svolgevano nelle sedi locali con bandi pubblicati dalle varie università e che prevedevano per legge la nomina di tre professori idonei o, in seguito, due idonei.

 

In altre parole, l’ateneo bandiva un concorso per un posto o di prima o di seconda fascia per un dato settore concorsuale e la commissione formata da cinque commissari, tutti eletti dai professori del settore in campo nazionale, individuava gli idonei.

 

Appare chiaro anche oggi che tra gli idonei, nella stragrande maggioranza dei casi, c’era il candidato locale e qualcuno degli allievi dei commissari.

 

Il candidato locale veniva chiamato nella stragrande maggioranza dei casi nella sua sede e gli altri idonei dalle loro sedi senza ulteriori competizioni.

 

La contestazione derivava dal fatto che, talvolta, il livello didattico-scientifico degli idonei era basso rispetto alla qualità media dei docenti del settore in campo nazionale, per accordi tra i commissari non proprio eccellenti. 


Pertanto, dopo accese discussioni, fu approvata la legge Gelmini che prevede una abilitazione nazionale (ASN) per tutti coloro che ambiscono a candidarsi in un concorso locale di prima o di seconda fascia.

La Gelmini parlò più volte nelle interviste del tempo di un “patentino scientifico nazionale” che veniva rilasciato agli abilitati e che era una soglia minima, necessaria per potere ambire a vincere un concorso a professore bandito dalle sedi.

 

Per quanto riguarda i concorsi locali in essi si doveva prendere in considerazione anche l’attività didattica dei candidati, cosa non prevista dall’ASN riservata esclusivamente all’attività scientifica, e le sedi potevano usufruire dell’autonomia di prevedere il numero massimo di pubblicazioni da inserire nel bando e la lingua straniera richiesta (domanda ingenua: e questo perché?).

 

Si decise anche di riservare il 40 per cento dei posti a bandi riguardanti solo gli abilitati nel settore concorsuale messo a bando in servizio nella sede (art. 24), il 40 per cento per bandi aperti a tutti gli abilitati in campo nazionale nel settore (art.18) e il 20 per cento ad abilitati che non avessero avuto rapporti con l’ateneo interessato negli ultimi tre anni. 
 

E’ evidente che la legge Gelmini è stata la madre di tutte le inchieste sui concorsi universitari negli ultimi anni come ad esempio, Venezia Firenze ecc. e l’inchiesta di Catania denominata “Università bandita”.

 

Infatti, in questa legge si legava troppo la figura dei professori e dei ricercatori abilitati ai concorsi locali.

 

Come più volte suggerito dai componenti la Giunta CRUI bastava aumentare ad esempio al 70 per cento la percentuale di concorsi relativi all’art.24 riservati agli abilitati locali e quindi alle “promozioni locali” dando la precedenza in sede locale agli abilitati più anziani (da seconda a prima fascia, da ricercatore a professore e promozioni locali da ricercatore di tipo a a b) e prevedere, invece, che i posti previsti per gli esterni, ad esempio il 30 per cento, fossero riservati non ad abilitati che non avessero prestato servizio nell’ultimo triennio nella sede che bandiva come previsto attualmente, ma ad abilitati laureati e/o dottori di ricerca in altre regioni rispetto a quella dell’università che bandiva.

 

Queste proposte, che ad esempio avrebbero impedito sul nascere nella presente inchiesta i casi “Barone e Licandro”, non sono state approvate per ragioni più disparate tra cui la più seria, a parere del sottoscritto, la mancanza di risorse economiche per garantire i movimenti di docenti da una università all’altra, sia per quanto riguarda i problemi economici per lo spostamento delle famiglie che per l’accoglimento nelle sedi di professori con peculiarità scientifiche diverse ( biblioteche ma soprattutto laboratori, attrezzature scientifiche ecc.). 
 

Anche per il passaggio da ricercatore di tipo a (Rtda) a ricercatore di tipo b (Rtdb), visto che gli Rtda alla fine dei cinque anni di contratto (3 più due) sono spesso quarantenni, e con una attività precaria all’interno delle università di circa vent’anni, dei quali sicuramente si conoscono i cognomi e i nomi, si parlò molto della possibilità di prevedere, non un nuovo concorso che avrebbe visto spesso come vincitore lo stesso ricercatore di tipo a in servizio nella sede, ma un giudizio di idoneità.

Anche in questo caso, si optò per un nuovo concorso nazionale. 
 

I difetti della legge Gelmini sono stati evidenti sin da subito e si riportano qui, i titoli di solo alcuni delle centinaia di articoli che sono stati pubblicati, in questi anni, di critica al sistema messo in atto nel 2010. 
-Il TAR contro la legge Gelmini

-Il reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari dopo la legge Gelmini, Alessandro di Battista, Roars, 21/10/2012

-All’Università la cooptazione funziona meglio dei concorsi, Sole 24 Ore, 6/8/2019 
-Concorsi universitari scandali o sistema? ANDU, IMG PRESS, 5 Luglio 2019 
-Gli strani bandi per ricercatore universitario, Roars 
-Il Precariato nelle Università dopo la legge 240/2010 (“Gelmini”) Analisi e Proposte dell'Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato (ARTeD). 
-Favorire maggiore mobilità, Sole 24 Ore, 6/8/2019

-Ricercatori: Troppe due figure di RTD (a e b). D. Braga, IlSole24Ore 04-08-2014.

-Un po' di chiarezza sugli RTDb, ARTED. 
 

Infatti, prendendo ora in considerazione l’Università di Catania, con le delibere di senato accademico del 26/5/2015 e di consiglio di amministrazione del 29/5/2015 si è proceduto alla ripartizione dei primi posti della programmazione 2015-2018, tenendo conto del numero di abilitati presenti nei vari dipartimenti con i loro cognomi e nomi.

 

Tali delibere, a parere del sottoscritto, sono prova della “falla” aperta dalla legge Gelmini perché, nei fatti, quest’ultima ha legittimato la prassi che ogni concorso, anche del tipo relativo all’art. 18, fosse legato ad un settore concorsuale in cui fosse presente in ateneo almeno un docente abilitato con il suo cognome e nome; cosa che se da un lato può essere legittimata dalla necessità che i posti da mettere a disposizione della aree siano giustificati non solo dal numero dei docenti presenti, ma anche dalla bravura degli abilitati, dall’altro lato può aver portato all’ovvia conclusione che il posto sia stato dato per l’abilitato ivi presente, specialmente se si tratta di abilitato “forte” per i titoli posseduti. 


A cascata questo meccanismo è stato applicato, come da precise direttive del senato e cda, ai consigli di dipartimento ed è stato adottato dalla maggior parte degli atenei italiani, probabilmente per un passa parola avvenuto tra i rettori in CRUI (Conferenza Rettori). 


Appare logico che, da allora, è nata la consuetudine di legare i concorsi oltre, come naturale, ai settori concorsuali anche al cognome e nome dei candidati interni ai quali, addirittura in molti casi, è stato richiesto dai direttori di dipartimento il curriculum in busta aperta/chiusa e hanno partecipato nei dipartimenti a vere e proprie valutazioni comparative per individuare la graduatoria dei settori (naturalmente corrispondenti ognuno ad almeno un abilitato) da bandire.

Pertanto, i cognomi e nomi dei candidati locali sono riportati addirittura, talvolta, nei verbali dei consigli di dipartimento. 
 

La stessa prassi è stata adottata anche in moltissime altre università d’Italia (ad esempio Bari, Lecce, Messina, Torino, ecc.) 
 

Orbene, il sospetto di reato relativo all’art. 353 bis individuato nel marzo 2018 nella CNR dalla Digos per circa 90 concorsi, sia dell’Università di Catania che di altre università, rappresenta anche un'ipotesi di reato di pericolo, che si consuma indipendentemente dall'effettivo conseguimento del risultato, e per il cui perfezionamento, quindi, occorre che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara, ma non anche che il contenuto dell'atto di indizione del concorso venga effettivamente modificato in modo da interferire sull'individuazione dell'aggiudicatario. 


Pertanto, è evidente, da quanto scritto sopra che il “pericolo” è già presente nelle delibere di Senato e Cda del 2015 e riguarda, non solo i 90 concorsi individuati dalla Digos, ma tutti i bandi pubblicati da allora a tutt’oggi dall’università di Catania e da moltissime altre università d’Italia (ad esempio Bari, Lecce, Messina, Torino ecc.), 
 

Di conseguenza, dal Marzo 2018 la stessa Procura della Repubblica di Catania ha eseguito numerosissimi stralci (non ultimi quelli di alcuni concorsi inseriti nell’ordinanza cautelare), probabilmente anche perché ha preso atto che, nel caso in questione, la individuazione a monte “del candidato probabile vincitore del concorso” non è sufficiente perché si possa procedere con la richiesta di un rinvio a giudizio degli indagati.

 

Infatti, come ormai evidente dalle azioni della Procura, perché si possa continuare nella contestazione del reato è necessario che ci sia stata, ad esempio, una manipolazione del bando, una coercizione sulla volontà di altri candidati, un palese favoreggiamento di un candidato rispetto agli altri da parte della commissione, o altro. 
 

A questo proposito, mi permetterei qui di “sdemonizzare”, con gli opportuni limiti, le così dette baronie universitarie, se questa locuzione comprende anche la difesa e il sostegno, da parte dei maestri, dei propri allievi di valore.

Appare chiaro, a mio parere, che questo sostegno non solo deve essere giustificato dalle ben conosciute qualità intellettuali dell’allievo da dimostrare sempre con il curriculum, ma anche dagli investimenti che sono stati effettuati dalla sede negli anni per la sua attività di ricerca scientifica, dai risultati anche economici che sono derivati per l’ateneo dalla sua attività e dal progetto scientifico sul quale l’allievo e l’area scientifica, cui appartiene, si sono spesi e che spesso sono ancora in itinere. 
 

Di conseguenza, come chiesto a gran voce in una sua intervista anche dal Prof. Maurizio Caserta, professore ordinario e oggi delegato del Rettore Priolo per la trasparenza dell’università di Catania, occorre che, fermo restando che la legge attuale va rispettata anche se non condivisa, l’appello è che il legislatore nazionale metta mano, al più presto, ad una nuova normativa universitaria che preveda, almeno per le promozioni da una fascia all’altra, un meccanismo equilibrato di cooptazione rigorosamente trasparente e valutabile, e sotto la nuova leadership di Priolo, l’Università di Catania si sta già ponendo il problema, tenendo conto dell’esigenza di una programmazione pluriennale che porti a scelte ragionate e condivise, a partire dalle scelte dei settori concorsuali da bandire. 


A mio parere, ferme restando le responsabilità personali di ogni indagato sugli eventuali reati commessi, dei quali reati ognuno risponde e si difende personalmente nei confronti della giustizia, ci sono le condizioni perché con la buona volontà di tutti gli attori la situazione possa migliorare nei prossimi anni.

 

Per ottenere ciò gli universitari debbono assolutamente evitare definitivamente gli “episodi di nefandezze”, come definiti dal procuratore capo di Catania Zuccaro nella dolorosissima, per noi universitari catanesi, conferenza stampa del 18 Giugno 2018, ma anche i magistrati possono contribuire, ai quali mi permetto di lanciare un appello che è quello di fare di tutto per garantire la “par condicio” nel trattamento penale per i possibili reati “di sistema” dei docenti, sia nella stessa sede che in tutte le procure d’Italia.

 

Tutto questo anche per garantire ai laureati dei prossimi anni le pari opportunità professionali, fortemente dipendenti dalla solidità sociale ed economica dei loro territori. 

Registrazione Tribunale di Catania n. 18/2010 – PIVA 05704050870 - ROC 180/2021
Edito da: Sudpress S.r.l. zona industriale, c.da Giancata s.n. – 95121 Catania

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