
L’elezione del Presidente della Repubblica in Italia è sempre stata preceduta da un clima di grande incertezza, dovuto a diverse ragioni.
Innanzitutto all’ampia maggioranza richiesta nei primi tre scrutini, due terzi del Parlamento, che rende estremamente difficile, ma non impossibile, avere la fumata bianca alla prima seduta.
Finora è capitato solamente due volte: con Francesco Cossiga nel 1985 e con Carlo Azeglio Ciampi nel 1999.
Con questa modalità è evidente che, per essere eletti, non basta la compagine che sostiene il governo in carica, ma occorrono molti più voti.
Le situazioni più complesse in assoluto sono state quella di Giuseppe Saragat, che salì al Quirinale al ventunesimo tentativo e del suo successore, Giovanni Leone, che ce la fece alla ventitreesima votazione.
Un’altra difficoltà riguarda il ruolo del Capo dello Stato, che non può essere espressione di poche forze politiche, dal momento che egli “rappresenta l’unità nazionale”, come sancito dall’art. 87 della Costituzione.
Per questo sono sempre stati esclusi i leader di partito o i capi corrente, cioè coloro che avrebbero potuto contare su di un vasto consenso in partenza, ma che non avrebbero mai ricevuto ulteriori appoggi al di fuori del loro ambito.
Clamorosa, ad esempio, fu la bocciatura di Amintore Fanfani, “cavallo di razza della Democrazia Cristiana”, che nel 1971 non ottenne i voti richiesti e fu anche oggetto di scherno da parte di alcuni votanti, che sulla propria scheda dapprima scrissero: “nano maledetto non sarai mai eletto” e all’elezione di Leone aggiunsero con soddisfazione: “te l’avevamo detto, che non saresti stato eletto, nano maledetto!”.
Lo statista aretino, infatti, per gli incarichi ricoperti in precedenza (segretario della D.C. e Presidente del Consiglio), era inviso a parecchi parlamentari, alcuni dei quali del suo medesimo partito.
Bisogna anche tenere conto della personalità del futuro Presidente, che deve essere specchiata e irreprensibile, estranea a certi giochi di potere, popolare ma non populista, seria ma non seriosa.
Dei dodici Capi di Stato, chi ha meglio di ogni altro incarnato questo profilo è stato, senza dubbio, Sandro Pertini.
Eletto all’indomani del delitto Moro, ebbe un settennato per niente facile, insanguinato da numerosi delitti di mafia e da tante vittime del terrorismo.
Eppure fu amatissimo, grazie al suo passato di antifascista e partigiano, all’indubbia rettitudine, all’efficacia comunicativa e ad una straordinaria carica di simpatia, probabilmente effetto pure dell’età avanzata alla quale fu eletto: 82 anni.
Ad accrescere la stima nei suoi confronti contribuì la vittoria ai Mondiali del ’82 in Spagna, alla cui finale, disputata a Madrid, Pertini assistette, venendo immortalato dalle tv di tutto il mondo, nell’atto di esultare.
Alcune elezioni sono avvenute in momenti particolarmente drammatici della storia repubblicana, come la strage di Capaci, che sciolse un’impasse, che aveva bloccato i lavori e portò alla scelta di Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Camera ed ex magistrato.
Egli fu l’ultimo inquilino del Quirinale a provenire dall’Assemblea Costituente, dopo Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone e Pertini.
Nella stragrande maggioranza dei casi, la scelta si è posata su di un politico, ma ci sono delle importanti e significative eccezioni.
Una di esse è quella di Luigi Einaudi, che, pur avendo avuto incarichi di governo, fu eletto essendo Governatore della Banca d’Italia.
L’altra si ebbe nel 1999, anno in cui il Parlamento scelse Carlo Azeglio Ciampi, anch’egli Governatore della Banca d’Italia, per ben quattordici anni e, successivamente, Presidente del Consiglio e più volte ministro.
L’unico ad essere stato rieletto è Giorgio Napolitano che, nonostante l’età, accettò l’invito a ricandidarsi, dopo le parecchie fumate nere dei precedenti scrutini.
Sul suo operato, ovviamente, giudicherà un giorno la storia, rimane, però, incontestabile che la rielezione rappresenti un momento estremamente critico della storia italiana.
In quell’occasione la classe politica rivelò la propria incapacità a concludere un accordo fruttuoso sull’elezione e il Parlamento dovette ricorrere ad un ultra ottuagenario e subire da lui una pesante, ma necessaria, rampogna, durante il discorso di insediamento.
Oggi attendiamo il successore di Sergio Mattarella, il quale ha lasciato intendere la sua indisponibilità alla rielezione.
Non mi pare che il contesto sia sereno e nessuno dei nomi che circolano credo abbia molte chance di farcela facilmente.
Il più accreditato sarebbe Mario Draghi, ma su di lui incombe il dilemma di un governo, che dovrebbe lasciare, col rischio di ritrovarci nella situazione precedente la nascita dell’attuale esecutivo.
Le stesse elezioni politiche anticipate non trovano tutti concordi, per la riduzione del numero di senatori e deputati, decisa dalla recente riforma costituzionale e per le condizioni non facili nelle quali esse si potrebbero svolgere.
Da notare, inoltre, che tutti i possibili candidati citati sino ad oggi (Draghi, Berlusconi, Segre, Bonino, Pera) hanno superato i settant’anni.
La Costituzione stessa stabilisce un’età minima per essere eletti, che è, però, di cinquant’anni; temo, invece, che ci si orienti verso figure anziane, perché il panorama istituzionale, ahimè, al di sotto di una certa soglia anagrafica, non offre tanto.
Nei giorni scorsi si era diffusa la notizia secondo la quale Fedez avrebbe espresso la volontà di entrare in politica.
Peccato che abbia solo trentadue anni e che sia stata una mera trovata pubblicitaria, altrimenti…