
Mentre il calendario segna il trentaduesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, forti tensioni politiche attraversano l’Europa dell’est.
In particolare vi è in atto una grave crisi diplomatica tra Polonia e Bielorussia, di cui stanno patendo le conseguenze migliaia di persone, provenienti da Asia e Medio Oriente, costrette a spostarsi verso ovest dal presidente bielorusso Lukashenko.
Otto di loro sono già morte di fame e freddo, ma si teme che il bilancio sia maggiore e che non possa essere realisticamente documentato, a causa del divieto imposto ai giornalisti di recarsi nelle aree più critiche.
Secondo molti analisti, dietro questa situazione ci sarebbe la volontà di destabilizzare l’Unione Europea, da parte di Lukashenko, sostenuto da Putin, suo antico alleato.
I due leader utilizzerebbero gli esseri umani, dapprima incoraggiandoli a trasferirsi nei rispettivi Paesi, per poi “spingerli” verso la Polonia, in cui attualmente è in vigore un governo nazionalista.
Tutto ciò come ritorsione per le sanzioni che, per ben quattro volte, l’Europa ha finora votato nei confronti della Bielorussia, accusata di adottare politiche liberticide e discriminatorie.
Dal canto suo, il primo ministro polacco Morawiecki ha ordinato tassativamente la chiusura delle frontiere, non escludendo il ricorso alla forza, per impedire a chiunque lo sconfinamento nel suo territorio.
In effetti, questa situazione sta mettendo in seria difficoltà la diplomazia europea, costretta a stare tra due fuochi: da un lato la necessità di fronteggiare l’arrivo dei migranti e dall’altro il rispetto dovuto ad ogni uomo e alla sua dignità.
In questa fase sta, purtroppo, prevalendo il primo intento e, di fatto, tutti hanno chiuso gli occhi di fronte all’intransigenza della Polonia, alle decine di arresti effettuati e perfino sul rafforzamento dei reticolati, impiegati a “protezione” dei confini.
Stiamo assistendo ad una delle tante beffe, che la storia, periodicamente, riserva agli uomini, non per prendersi gioco di loro, quanto per metterne a nudo le contraddizioni e smascherarne le ipocrisie.
Dopo l’abbattimento del muro di Berlino sembrava che fosse iniziata una nuova fase, non più minacciata dalle contrapposizioni ideologiche e militari, ma caratterizzata da una fratellanza universale.
Ci si era convinti che lo spettro della guerra avesse definitivamente abbandonato il nostro continente e che le nuove politiche internazionali si sarebbero svolte all’insegna della solidarietà e della collaborazione.
In realtà ci attendevano anni difficili, insanguinati dalla guerra nei Balcani e dalla sistematica negazione dei diritti fondamentali di coloro che, mossi dal bisogno o dalla paura, bussano alle porte di quell’Europa, in cui sono nati l’umanesimo e l’illuminismo e che, nonostante la secolarizzazione, come diceva Benedetto Croce, “non può non dirsi cristiana”.
Quella di respingere i flussi migratori è una pretesa assurda, non praticabile, perché si tratta di fenomeni epocali, che denotano la precarietà di un pianeta in continua trasformazione.
Nell’attesa di raggiungere un nuovo equilibrio mondiale, occorre gestire queste gravi crisi umanitarie, superando gli interessi di parte e aprendosi ad una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione.
Non si può vivere in un villaggio globale solo quando conviene, quando la comunicazione tra un continente e l’altro avviene in tempo reale e, nel giro di poche ore, ci si può trovare al capo opposto della Terra.
Globalizzazione significa anche doversi occupare della sorte di popolazioni distanti, risollevarle dalle loro afflizioni, difenderle da chi vuole sopraffarle, condividere con loro il benessere che forse non ci meritiamo.
Nella Fratelli tutti papa Francesco ha coraggiosamente affermato che la proprietà privata non può considerarsi un diritto, se altri vivono nell’indigenza.
Parole pesanti, che scardinano errate certezze giuridiche e filosofiche e ripropongono una lettura più autentica del Vangelo.
Pierpaolo Pasolini riconosceva al cristianesimo il merito di avere linearizzato la storia, proiettandola verso un fine ultimo, che è Cristo.
Ma il capitalismo ha sostituito Cristo col progresso, determinando una mutazione antropologica che ha, di fatto, causato la fine della storia e l’inizio di una nuova era, da lui definita “dopostoria”.
L’umanità, allora, non è solo minacciata dal surriscaldamento del pianeta, dalla pandemia o da un conflitto nucleare, pericoli che appaiono chiari a tutti e dai quali, se si vuole, ci si può difendere.
Ma ci sono insidie più subdole, di matrice culturale, che agiscono surrettiziamente e che cercano di trasformare l’uomo in qualcos’altro.
Spero tanto di sbagliarmi, ma ho il timore che, se non si interviene in tempo, fra non molto ci riusciranno.