Voleva entrare in possesso dell’appartamento di fronte casa sua, ma la signora Agata, l’anziana proprietaria, si era sempre rifiutata di venderglielo. Così lui, alla morte della signora, fa registrare un testamento olografo che la proprietaria non aveva mai redatto.
Una storia iniziata nel 2012 e conclusasi da pochi giorni con il deposito delle motivazioni della sentenza che condanna in primo grado gli imputati. Coinvolti nella vicenda il notaio Marco Cannizzo - già noto alla cronaca e ai lettori di SUD per altre vicende che lo hanno visto protagonista - la moglie Cinzia Savasta e una complice.
Ad accorgersi del reato la nipote ed erede della signora Agata, defunta proprietaria dell’immobile: l’inquilina dell’appartamento oggetto del contendere - e che si trova nello stesso pianerottolo dell’abitazione di Cannizzo - avvisa la nipote della defunta di aver ricevuto notizia dalla Savasta di dover pagare a lei il canone di locazione in quanto nuova proprietaria dell’immobile.
È così che si apre il vaso di Pandora.
La nipote della signora Agata, procedendo all’espletamento delle pratiche di successione, scopre dell’esistenza di un testamento olografo redatto il 20 di aprile del 2012 e depositato il 9 di luglio dello stesso anno: 5 giorni dopo la morte della signora.
Il documento, del quale nessun familiare o caro della signora era a conoscenza, prevedeva la donazione dell’immobile in questione - in quanto legata - ad una donna, tale Rosaria Coco, che in casa dell’anziana signora nessuno aveva mai visto nè sentito.
La signora Rosaria avrebbe poi venduto immediatamente l’immobile ai coniugi Cannizzo.
A registrare testamento e atto di vendita il notaio Emanuele Magnano di San Lio: San Lio, audito dal Giudice, dichiara di essere stato contattato direttamente da Cannizzo che lo aveva informato che la moglie doveva comprare un appartamento da una signora, sua conoscente, che lo aveva ereditato e lo aveva incaricato di provvedere sia alla pubblicazione del testamento e, dopo qualche mese, alla stipula del contratto di vendita in favore della moglie e che come da prassi di colleganza, la bozza dell’atto di compravendita era stata redatta dallo stesso Cannizzo.
Peccato che il testamento olografo fosse assolutamente falso: a dichiararlo tale è ufficialmente la perizia eseguita in fase dibattimentale, nella quale il perito conclude per una “discordanza tra le scrittura certamente autografe (delle lettere analizzate come confronto, ndr) e la scrittura del testamento olografo, evidenziandosi una sostanziale diversità di segni grafici, ritmo e contrassegni distintivi delle grafie”. Specificando anche che “tali discordanze, in quanto relative alla fisiologia stessa della scrittura e gli automatismi personali, sono indice certo di artificio” e terminando la propria relazione sancendo che “il testamento pubblicato dal notaio è con certezza apocrifo e non proviene dalla mano della signora Agata, ma frutto di un tentativo grossolano e mal riuscito di imitazione della scrittura della cuius”, specificando che, dalla scrittura utilizzata emerge chiaramente il tentativo goffo del falsificatore, di simulare la mano malferma di una persona anziana per conferire maggiore veridicità all’atto.
La signora Agata, infatti, era da tempo malata e pur mantenendo lucidità di giudizio e ragionamento non era da tempo in grado di scrivere di suo pugno: un tremore profondo alle mani le impediva di scrivere autonomamente già da mesi prima del decesso.
È lo stesso notaio Magnano di San Lio che conferma al giudice che dopo che la nipote della defunta era venuta a conoscenza dell’atto, che reputava falso, era sorta una controversia che poi aveva portato alla revoca della vendita e alla rinuncia del legato.
La sentenza porta alla condanna del notaio Cannizzo e della moglie Cinzia Savasta a 2 anni con pena sospesa e al risarcimento dei danni che dovranno essere liquidati in sede civile.
Il giudice scrive: “L’interesse spasmodico degli imputati a divenire proprietari a ogni costo dell’appartamento non fu taciuto neppure dopo che la nipote era venuta a conoscenza della condotta fraudolente posta in essere per sottrarre il bene dai cespiti ereditari”.
“Dal forte interesse degli imputati a diventare proprietari del bene in questione (...) alla luce delle ulteriori prove raccolte nel dibattimento e tenuto conto della stretta concatenazione temporale degli eventi, che gli stessi abbiano di comune accordo redatto il testamento di cui al capo di imputazione o quanto meno ricorso alla sua predisposizione, realizzata materialmente da altri, atteso che tale legato falso rappresenta lo strumento attraverso cui successivamente hanno tentato di accaparrarsi il cespite”.