
A pochi giorni dalla scomparsa di Gino Strada, il missionario laico che ha dedicato la vita e la professione medica ai derelitti sparsi nel mondo, giunge la notizia che i talebani sono entrati trionfalmente a Kabul.
Quanto già annunziato dai servizi di informazione occidentali è avvenuto con una rapidità superiore al previsto.
Nell’epoca dei social, il ritorno degli studenti coranici nella capitale afghana è stato diffuso da una congerie di foto e video, alcuni dei quali appartengono ormai alla storia.
Emblematica la fuga disperata di chi ha trovato posto all’interno di un cargo americano, con a bordo il sestuplo delle persone contenibili, o di coloro che, aggrappatisi all’aereo in decollo, sono precipitati non appena il velivolo ha preso quota.
E adesso si apre un futuro incerto per quella martoriata regione, che continua a non aver pace, in balia delle super potenze mondiali, che l’hanno resa terra di conquista, salvo poi lasciarla alla mercè dei fondamentalisti islamici.
Dapprima i sovietici di Breznev, che nel 1979 invasero l’Afghanistan, successivamente gli americani di Bush, che l’occuparono dopo l’attentato alle Twin Towers.
Adesso ci si chiede a cosa sia servita quella guerra, iniziata col proposito di esportare la democrazia; per chi e per cosa sono morte circa 350.000 persone, tra militari e civili, compresa la nostra Maria Grazia Cutuli?
Quanto sta accadendo in queste ore annulla veramente tutto quello che è stato realizzato?
Interrogativi legittimi, spontanei, ma destinati, per il momento, a rimanere in attesa di una risposta, che arriverà non prima dei prossimi mesi.
Nel frattempo possiamo discutere del comportamento degli ultimi presidenti statunitensi, che hanno deciso il ritiro delle loro truppe da quei territori.
Di quanto sia in crisi la leadership mondiale degli USA, ostinati a volere svolgere la funzione di gendarmi del pianeta e poi fare i conti con la realtà, che li vede in difficoltà a mantenere alta la loro credibilità internazionale.
L’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio non è stato un problema interno, una svista degli addetti alla sicurezza, ma il sintomo evidente di un malessere, che riguarda tutte le società occidentali.
Ci siamo convinti che la democrazia fosse un regime immarcescibile, definitivo e, da tempo, non ci preoccupiamo più di custodirla e alimentarla.
Pensiamo, invece, ad esportarla, come se fosse merce da vendere o barattare e non, invece, l’esito di un lungo e complesso processo culturale, scandito da lotte, sofferenze e sacrifici.
Colpa di chi ha trascurato – e continua a trascurare – lo studio della storia e ha fatto credere che il mondo sia sempre stato lo stesso di come è oggi.
Dispiace dirlo, ma non credo di sbagliare: le ultime amministrazioni repubblicane degli States non hanno brillato per lucidità, né per spessore culturale.
Paragonare il Medio Oriente al Giappone del 1945, ad esempio, denota una totale incapacità di analisi storica e sociologica, non solo da parte dei presidenti, ma anche dei loro collaboratori. Il mondo islamico ha delle sensibilità profondamente diverse da quelle del Sol Levante, che non puoi non conoscere, se pensi di intraprendere un percorso comune.
Prima di tutto occorrerebbe far recuperare la fiducia nell’Occidente, che troppe volte ha esclusivamente perseguito i suoi interessi, rimangiandosi gli impegni presi, come avvenne a Sevres, dopo la Prima Guerra Mondiale.
In quell’occasione si è sprecata l’opportunità irripetibile di avviare un serio processo di democratizzazione delle popolazioni arabe, così come concordato con i capitribù.
E invece si sono create le premesse di un’instabilità politica, che, da un secolo, affligge quell’area geografica.
Preoccupa, inoltre, il fatto che le ambasciate russa e cinese siano le uniche rimaste aperte a Kabul, segno di un possibile avvicendamento tra l’egemonia euroamericana e quella russo-cinese.
Dopo l’Africa, il regime di Pechino potrebbe così estendere la propria influenza fino ai confini tra Asia ed Europa, puntando al ruolo di unica vera superpotenza mondiale.
I giorni che verranno saranno, dunque, decisivi e ci consentiranno di capire meglio se queste previsioni sono infondate o possono riscuotere credito.
Ma soprattutto si dovrà verificare se le conquiste politiche e giuridiche del ventennio appena trascorso, siano vanificabili oppure no.
Con la restaurazione del 1815, le monarchie assolute credettero di cancellare gli effetti della Rivoluzione francese e l’ondata napoleonica, che aveva interessato gli Stati europei.
I fatti non diedero loro ragione e, il giorno dopo la conclusione del Congresso di Vienna, ebbe inizio un periodo di moti e insurrezioni, ispirati ai principi dell’Illuminismo.
Vedremo se in Afghanistan i diritti delle donne, la loro partecipazione alla vita politica, le rappresentatività democratiche e, in generale, il rispetto della dignità dell’essere umano, siano entrati a far parte del sostrato culturale oppure no.
Nel primo caso niente e nessuno, nemmeno le minacce e la violenza potrebbero più sopprimerli, nel secondo caso ci troveremmo di fronte ad un nuovo imperdonabile fallimento dalle conseguenze imprevedibili.