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Legge Zan tra libertà e realtà

03-07-2021 07:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Legge Zan tra libertà e realtà

L'opinione del preside di un istituto cattolico su un tema che sta dividendo e andrebbe ragionato con ponderazione senza ideologismi

Il 17 giugno scorso, con un’iniziativa non comune, la Santa Sede ha consegnato all’ambasciatore italiano una nota informale, per evidenziare alcune criticità riguardanti il ddl Zan, che violerebbero il Concordato del 1984.

 

Com’era prevedibile, si sono scatenate delle polemiche, che hanno visto la partecipazione non solo del mondo politico (sempre più diviso e discordante), ma anche di autorevoli giuristi.

 

Qualcuno ha pure invocato l’abolizione del Concordato, nella spasmodica ricerca di I like nel suo profilo social, che puntualmente sono arrivati, dando ragione, ancora una volta, a ciò che il compianto Umberto Eco scriveva sulla comunicazione via internet. 
 

Lo scontro si è riacceso in particolare sulla libertà di opinione e sulla giornata contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, pensata per promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze, nell’ottica di quel rispetto per la persona, sancito dalla Costituzione italiana.

 

Solleva perplessità il fatto che tale giornata, fissata al 17 maggio di ogni anno, dovrebbe celebrarsi in tutte le scuole d’Italia e dunque anche in quelle cattoliche.

 

Si teme, inoltre, che la libertà di espressione possa subire delle restrizioni e che una certa vaghezza della norma potrebbe aprire ad eccessi interpretativi in sede giurisprudenziale, come ha rilevato l’ex Presidente della Consulta Giovanni Maria Flick. 
 

Ammetto che si tratta di questioni complesse e delicate sulle quali, per il momento, lascerei la parola ai giuristi, nonostante la varietà di spiegazioni che essi stessi hanno dato del testo in discussione.

 

Da docente e preside di un istituto cattolico, desidero, però, precisare di non avere atteso l’approvazione di una legge, per affrontare questi temi in aula e biasimare ogni atteggiamento discriminatorio o persecutorio nei confronti di un essere umano.

 

Spiegando il fascismo nelle quinte classi, ad esempio, suggerisco sistematicamente di vedere "Una giornata particolare", il capolavoro di Ettore Scola, girato nel 1977 e magistralmente interpretato da Sofia Loren e Marcello Mastroianni.

A conferma del fatto che il lavoro educativo non tarda a dare i suoi frutti, due candidate all’esame di Stato di quest’anno hanno voluto inserire questa tematica nei loro colloqui, illustrando elaborati incentrati sugli abusi sessisti.
 

Da questo punto di vista, allora, l’approvazione della legge Zan non dovrebbe stravolgere, né condizionare, la didattica, almeno per ciò che riguarda il rispetto della dignità umana, già fondamento e cardine della dottrina cristiana.

 

Anzi, è notorio che questo principio sia stato inserito nel testo costituzionale, proprio grazie al contributo dei “professorini” cattolici, come Dossetti, La Pira, Moro, Fanfani, che riuscirono, in tal modo, a mediare con le forze politiche contrapposte, fino a trovare un’intesa e a trascendere le profonde divergenze ideologiche. 
 

C’è, tuttavia, un punto sul quale mi permetto di richiamare l’attenzione dei lettori: la lettera d) dell’art. 1, là dove si legge: “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

 

Questa disposizione, a parer mio, introdurrebbe una nuova visione dell’essere umano, in cui la concordanza tra corpo e mente, ovvero tra sesso biologico e identità di genere, non è più scontata.

 

Sin dall’antichità, invece, l’uomo è stato considerato un sinolo inscindibile di materia e psiche.

 

Vero è che dalla fondazione della psicanalisi in poi, si è compreso che il sesso non è soltanto fisicità e che gli orientamenti e i desideri sessuali, pur avendo una manifestazione corporea e comportamentale, hanno origine nella mente, spesso nella parte inconscia di essa.

Ma con l’identità di genere, il corpo non parteciperebbe più, in maniera determinante, all’identità della persona e tutto ciò potrebbe avere importanti ricadute sociali. 
 

La donna, infatti, non dovrebbe essere intesa come oggetto erotizzato, non essendo più ridotta al solo aspetto esteriore.

Né la mascolinità coinciderebbe esclusivamente con la prestanza fisica e sessuale, che sovente si manifesta attraverso forme di aggressività e violenza. 
 

D’altro canto potremmo, però, assistere al superamento della distinzione maschio/femmina, categorie che, ancor prima che sessuali, sono antropologiche.

 

Temo che il nuovo possibile scenario, dal punto di vista relazionale, creerebbe situazioni inedite di non facile gestione.

 

Supponiamo che un individuo, che è fisicamente maschio, si percepisce femmina, avrebbe o no diritto ad entrare in un ambiente (spogliatoio, bagno), finora riservato alle donne?

 

E ancora, chi potrebbe confermare che tale richiesta deriverebbe da una reale percezione di sé e non sarebbe, invece, pretestuosa?

E se tale accesso fosse, invece, negato, ciò sarebbe una discriminazione penalmente perseguibile?
 

Al di là di queste considerazioni contingenti e particolari, credo sia legittimo interrogarsi sull’opportunità di inserire in una legge che, per sua natura, è anche coercitiva, una questione antropologica.

 

Come è già avvenuto nella lotta contro il covid, in cui la politica si è avvalsa della competenza degli esperti, istituendo un comitato tecnico scientifico, anche in questo caso sarebbe auspicabile lo svolgimento di un dibattito, arricchito e animato dal contributo di studiosi quali sessuologi, filosofi, teologi, psicologi, bioeticisti, ovviamente di molteplice formazione ideologica e religiosa.

 

E solo al termine, pensare realmente alla trasposizione normativa delle conclusioni raggiunte, ponderate e, soprattutto, condivise.

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