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Il giornale che pubblica una notizia e scatena l'inferno

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Il governo Meloni e il pasticcio libico: l'analisi dell'avv. Dario Riccioli e qualcos'altro

01-02-2025 06:00

Dario Riccioli*

Cronaca, Focus, Voci Catanesi,

Il governo Meloni e il pasticcio libico: l'analisi dell'avv. Dario Riccioli e qualcos'altro

Premessa di Pierluigi Di Rosa e poi l'intervento dell'avvocato Riccioli che mette in fila alcuni degli elementi essenziali di una vicenda che va oltre i fatti.

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A seguire l'intervento dell'avvocato Dario Riccioli sul tema del momento che vede raggiunto l'apice dello scontro tra governo e magistratura: oltre questo probabilmente ci può essere solo il colpo di Stato.

 

Il caso è quello ormai arcinoto del generale libico, prima arrestato dalle autorità italiane su mandato della Corte Penale Internazionale per gravissimi reati e poi, molto cordialmente, accompagnato sino a casa addirittura con un comodo aereo di Stato.

 

L'avvocato Riccioli proverà a spiegarci l'aspetto più tecnico-giuridico della vicenda e ancora una volta gliene siamo grati perché è sempre puntuale ed efficace.

 

Noi guardiamo un attimo all'aspetto politico-istituzionale e, senza dilungarci, diciamo solo che lo consideriamo un totale disastro sotto ogni profilo.

 

Diciamo subito, opinione da cittadino senza arzigogoli giuridici, che per quanto ci riguarda il Procuratore Lo Voi, in presenza di una denuncia dettagliata, peraltro proveniente da personalità qualificata (l'avv. Li Gotti), non poteva procedere in altro modo di come ha fatto.

 

Del resto si è trovato nella poco gradevole situazione in cui ci si espone qualsiasi cosa si decida di fare: è stato duramente attaccato e persino vilipeso e anche minacciato per l'iscrizione e sarebbe stato altrettanto aggredito, dall'altra parte politica, se non lo avesse fatto. 

Secondo me ha fatto la scelta più lineare e corretta. Ma sul punto mi fermo qui.

 

Diciamo però anche che, molto cinicamente, l'Italia non poteva permettersi di trattenere in arresto il generale perché avrebbe esposto il paese, i nostri connazionali ed i nostri interessi in Libia a gravissime conseguenze: è triste dirlo, ma di questo si parla quando ci si riferisce alla “Ragione di Stato”, laddove il metro del giudizio morale è e deve essere diverso da quello del comune cittadino.

 

Il tema tuttavia non è neanche questo, piuttosto attiene alle modalità con cui il governo ha gestito la faccenda, creando un casino dopo l'altro, raggiungendo l'acme con l'improvvido e volgarissimo video con cui la premier Meloni ha annunciato, urbi et orbi, di aver ricevuto un “avviso di garanzia” che peraltro non era neanche tale.

Una performance davvero imbarazzante, come del resto ormai d'abitudine.

 

La verità è che il pasticcio che hanno combinato sarebbe stato evitato se solo avessero affidato ai nostri Servizi Segreti, (che poi sono tra i migliori al mondo e hanno tra i propri compiti anche e soprattutto risolvere casini non risolvibili con altri mezzi), la missione di allontanare “riservatamente” quel figuro dal suolo nazionale. Punto.

 

Esattamente come hanno fatto tutti gli altri partner europei presso cui il generale ha scorazzato per i 15 giorni precedenti.

 

Questi sono i danni che producono “classi dirigenti” sempre meno adeguate alle sempre più difficili sfide che stiamo attraversando. E sempre più pericolosamente.

 

Potrei, ed anzi vorrei condividere l'appello conclusivo con cui lo stimatissimo avvocato Riccioli invita i Poteri dello Stato a recuperare una ragionevole serenità nei reciproci rapporti.

 

Tuttavia temo sia una lodevole ingenuità: “le istituzioni non si riformano da sole, tendono a fare di tutto per mantenere i propri privilegi”, direbbe il grande studioso delle élite Gaetano Mosca.

 

Ed oggi siamo arrivati al più infimo accattonaggio da parte di gente senza arte né parte: il peggio che possa capitare ad una fragile democrazia ormai avviata rapidamente alle già sperimentate democrature.

 

Del resto ci siamo in pieno considerato che si occupano le istituzioni con appena il 20% dei consensi elettorali ed il 50% che neanche vota più!

 

Probabilmente siamo già oltre il punto di rottura mentre quello di ricucitura non lo vediamo proprio: e ne siamo enormemente preoccupati.

 

Pierluigi Di Rosa


E adesso leggiamo l'avvocato Riccioli che è meglio:

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Caro Direttore, 

in questi giorni l’Italia sta vivendo la “tragedia” della iscrizione di alcuni componenti del Governo in carica nel registro degli indagati (il famoso registro delle notizie costituenti reato - modello 21) tenuto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e della successiva comunicazione dell’avvenuta iscrizione, fatta pervenire dal Procuratore della Repubblica ai diretti interessati.

 

Come spesso accade dalla “nostre parti” (in verità il fenomeno è diffuso quando si parla di calcio), gli italiani si sono trasformati in giuristi esperti di Diritto costituzionale e di Diritto penale ed è stato avviato un dibattito che, spesso, ha ignorato la normativa attualmente vigente.

Mi sembra opportuno, a questo punto, fare chiarezza sulle norme che disciplinano la materia oggetto del dibattito, cercando di offrire al Suo lettore una lettura “tecnica”, non suggestionata da pulsioni politiche o da interessi di categoria.

 

Per questo, premetto subito che non ho votato per il partito del Premier (ma non posso escludere di farlo in futuro, essendo noto il mio orientamento liberale) e che ritengo la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, in discussione in questi giorni in Parlamento, assai debole e non efficace al raggiungimento degli obiettivi che la riforma stessa professa di volere raggiungere. 

 

Forse, se verrà approvata - all’esito del referendum confermativo cui sarà sottoposta - potrà mutare il modo di pensare della magistratura decidente; ma saranno necessari parecchi anni prima che il Giudice si trasformi, anche nella sostanza, in un soggetto veramente terzo rispetto agli altri due soggetti della giurisdizione: Pubblico Ministero e Difensore dell’imputato.

 

Mi corre l’obbligo, inoltre, di testimoniare che nel corso della mia vita professionale ho avuto modo di incontrare Magistrati giudicanti che, seppur provenienti dagli Uffici della Procura, hanno sempre interpretato il loro ruolo con terzietà; così come di confrontarmi, anche oggi, con magistrati del Pubblico Ministero che, nella fase delle indagini, rispettano il loro ruolo di terzietà, avendo come unico obiettivo della loro azione la ricerca della verità e non solo di un colpevole.

 

Ma altrettanto, riconosco l’esistenza di gravi storture del sistema che hanno reso obbligatoria la riforma in discussione.

 

In altre parole, la penso come il prof. Franco Coppi, quando afferma che “Dipende dall’onestà intellettuale delle persone. Poi, ammesso che oggi il giudice consideri il pm un fratello, con la separazione lo considererebbe un cugino, perché continuerebbe a pensare che la sua visione sia imparziale, mentre quella dell’avvocato – che è pagato dal cliente – no (...) La separazione non risolverà con la bacchetta tutte le disfunzioni e le inefficienze della giustizia ma è un primo passo sostanziale per provare ad invertire la rotta”. 

 

Infine, volutamente ometto ogni considerazione politica sul caso specifico (mancata consegna alla Corte Penale dell’Aja del generale Osama Almasri, con successiva espulsione dal territorio nazionale), perchè estraneo alla natura di questo articolo e perché, evidentemente, attorno alla vicenda ruotano “questioni” che, ad oggi, non sono note.

 

Caro Direttore, 

fatta questa premessa che mi è sembrata doverosa, passo a trattare l’argomento della mia riflessione.

 

Nel caso oggetto del dibattito in questione le norme che occorre consultare sono 

  • l’art. 335 c.p.p. (come novellato dalla riforma cd. “Cartabia”), 
  • gli art. 314 e 378 c.p. 
  • l’art. 6 della Legge Costituzionale n. 1/1989. 

 

E occorre farlo in questa sequenza. E Le spiego il perché.

 

La riforma Cartabia ha riformato l’art. 335 c.p.p. rubricato “registro delle notizie di reato” stabilendo che il PM iscrive immediatamente nell’apposito registro (...) ogni notizia di reato che gli perviene (...), contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice (...).

 

La norma impone al PM l’obbligo della iscrizione nel registro delle notizie di reato (modello 21) di ogni fatto determinato e non inverosimile (ovvero non deve essere improbabile, assurdo o esagerato) che sia riconducibile astrattamente ad un’ipotesi di reato: nel caso di specie i reati ritenuti sono quelli del peculato (art. 314 c.p.) e favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).

 

Occorre segnalare che, nella pratica quotidiana, il PM non sempre iscrive i fatti di reato, anche se qualificati dal denunziante ai sensi di una norma giuridica, nel registro mod. 21; ma capita di iscriverli in altri registri: 

  • fatti non costituenti reato (mod. 45), 
  • registro ignoti (mod. 44); 
  • oppure iscrive al modello 21 attribuendo alla condotta denunziata una qualificazione giuridica diversa. 

Sostanzialmente, gode di un potere discrezionale in ordine alla iscrizione.

 

Nel caso di specie, il Procuratore della Repubblica, ricevuta la denunzia contenente una qualificazione giuridica già fatta dal denunziante, prima di procedere alla iscrizione avrebbe dovuto (come avviene per ogni notizia di reato):

  • Verificarne la inverosimiglianza, ovvero stabilire se il fatto denunziato non fosse improbabile, assurdo o esagerato;
  • Verificare se astrattamente le condotte denunziate fossero riconducibili alle ipotesi di reato qualificate nella denunzia, ovvero in altre ipotesi di reato (restando egli il titolare dell’azione penale, in questa fase delle indagini, con un elevato margine di discrezionalità).

 

Vediamo di capire se il fatto denunziato è inverosimile e, se non lo è, quali reati sarebbero stati commessi dai componenti del Governo, secondo il denunziante e secondo una valutazione discrezionale del PM, che ha deciso di procedere all’iscrizione nel registro delle notizie di reato e non in altri registri, sempre in dotazione all’Ufficio della Procura. 

 

L’art. 314 c.p (peculato) punisce il Pubblico Ufficiale che avendo per ragioni del suo ufficio il possesso o la disponibilità di (...) cosa mobile altrui, se ne appropria.

 

Ebbene, il PM ha ritenuto che si possa verosimilmente ritenere che l’espulsione del cittadino libico ritenuto dal Governo pericoloso, attraverso l’utilizzo di un “volo blu”, quindi utilizzato per motivi di sicurezza pubblica, costituirebbe una forma di appropriazione di quel bene pubblico.

 

L’art. 378 c.p. (favoreggiamento personale) punisce chiunque (in questo caso, per commettere il reato, non è necessario essere un pubblico ufficiale), dopo che è stato commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione, aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità (in questo caso della Corte Penale Internazionale) od a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti.

 

Pertanto, la norma punisce chi aiuta l’autore di un delitto a evitare o a sfuggire con astuzia, a sottrarsi alle investigazioni dell’Autorità; ovvero aiuta taluno a sottrarsi alle ricerche di quell’Autorità.

 

Ebbene, il PM ha ritenuto che si possa verosimilmente ritenere che l’espulsione dal territorio italiano avvenuto per motivi legati alla sicurezza nazionale, di un cittadino libico già processato e condannato per crimini contro l’umanità, arrestato e recluso già in un carcere italiano e i cui spostamenti erano monitorati da molte settimane (tanto da giungere all’arresto in Italia), possa avere eluso le investigazioni o le ricerche della Corte Penale Internazionale.

 

Infine, l’art. 6 della Legge Costituzionale n. 1/1989 stabilisce che i rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati dall’articolo 96 della Costituzione (reati commessi dai membri del Governo nell’esercizio delle loro funzioni) sono presentati o inviati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio (Roma). 

 

Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati.

 

Pertanto, era certamente dovuta dal Procuratore della Repubblica l’invio della comunicazione della presentazione della denunzia con la relativa iscrizione nel registro delle notizie di reato.

 

La domanda che i Suoi lettori, caro Direttore, devono farsi è:

“dalla lettura delle norme del codice penale, e dal loro significato letterale (omessa ogni indagine, recita la norma costituzionale e, pertanto, allo stato degli atti), in assenza di elementi fattuali di natura valutativa, se non di una rassegna giornalistica, per il Procuratore della Repubblica di Roma era un atto dovuto iscrivere il nome del Presidente del Consiglio e dei Ministri nel registro delle notizie di reato? 

 

La notizia di reato appariva verosimile, alla luce del significato letterale delle norme ritenute violate e al contesto fattuale in cui quelle condotte si sono verificate?”.

 

Caro Direttore, al di là della risposta che ciascuno di noi darà a quelle domande e alla luce di tutto quanto sta accadendo attorno a questa vicenda, l’auspicio che faccio è che cessi immediatamente il conflitto istituzionale in corso e che ciascuno dei Poteri dello Stato torni, serenamente, a svolgere la funzione che la Costituzione Repubblicana attribuisce loro.

 

Un caro saluto e buon lavoro. 


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