Partiamo così, con questa fotografia aerea di Piazza Università che il nostro sindaco ha postato proprio per mostrarne la bellezza. Il gioco di luci e il bianco e nero la rendono bellissima, non c’è che dire. Sfortunatamente per il bravissimo fotografo, che ha realizzato uno scatto degno di Robert Doisneau, non siamo qui per analizzarne i chiaroscuri; invece analizzeremo un chiaroscuro ben diverso, quello di questa città.
Il sindaco dice di accendere le luci e colorare la città per questo Natale, ma quale parte della città?
Perché quel che si vuole far notare sono i chiaroscuri della nostra città che accende le luci in Corso Italia e le spegne sul quartiere Fontanarossa, che viene sommerso ad ogni pioggerella, che accende le luci in Piazza Università e le spegne su San Berillo, tra spazzatura, cani che si azzuffano e ragazzi sdraiati a terra, sotto crack, in Via Maraffino.
Il chiaro delle luci di natale in Via Etnea e oscurità sulle prostitute minorenni e sui litigi tra senegalesi e haitiani di Via Carro.
Una città che accende le luci in Via Monfalcone e le spegne sulle case abbandonate e pericolanti, vecchie ma con serrature nuove di zecca e sui preservativi rotti, per terra, in Via Ciancio.
Le accende in Piazza Cavour e le spegne sulle prostitute anziane di Via Buda, stanche, senza denti, con i talloni sporchi e le scarpe rotte.
Più di una luce viene accesa sulla nostra Università mentre cala il buio su Librino, dove la dispersione scolastica è tra le più alte d’Italia. E infine, accendiamole tra i mercatini e spegniamole su Via Toledo (Angeli Custodi), dove le persone vivono tra i ratti.
Questo è il bianco e nero della nostra città: si mette in luce quel poco, pochissimo, che ha un certo appeal, mentre tutto ciò che è difficile da curare viene dimenticato; anzi, lasciato al buio.
Ma prima che finisca l'anno – e a proposito di buio – possiamo certamente dire di aver assistito al momento più oscuro della nostra città: la visita del Principe di Venezia, alias Emanuele Filiberto.
Il savoiardo ha suscitato in molti catanesi – o almeno in quelli che conservano un minimo di amor proprio e di attaccamento a questa città – una certa rabbia. Non per una velleitaria aspirazione politico-monarchica di un MSI morto da decenni, che, anche solo a nominarlo, dovrebbe far accapponare la pelle; ma per l’ennesima ostentazione di una facciata irreale: ricca, barocca, ordinata. Una facciata che nasconde una città che, giorno dopo giorno, si sta trasformando in un borgo, chiuso e spento.
E così il tour del principe senza terra prosegue, tra colazioni di beneficenza, vescovi che sfoggiano casule lussuose per eventi mondani e, a contorno, come mosche attratte dal miele, tutti quei club catanesi che per osmosi vorrebbero assorbire potere, ricchezza e, perché no, qualche favore. Insomma, ciò che potremmo affettuosamente definire, con un ossimoro, la massoneria dei morti di fame.
Sia chiaro, non si vuole rovinare lo spirito natalizio a nessuno, non ce la prendiamo mica con gli alberi.
Però è giusto analizzare che le parole sprezzanti che vengono utilizzate sono frutto di un lassismo amministrativo totale che come unico obbiettivo ha quello di confermare visivamente che per questa città si sta facendo molto, quando rimane tutto immobile.