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UNICT tra Promesse Infrante e Governance Fallimentare: Il caso dei Ricercatori Traditi

05-08-2024 06:30

redazione

Cronaca, Università, Focus,

UNICT tra Promesse Infrante e Governance Fallimentare: Il caso dei Ricercatori Traditi

Impegno che era a pagina 19 delle promesse elettorali e non viene ottemperato neanche dopo una sentenza

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Riceviamo e pubblichiamo la nota che segue, senza che sia necessario aggiungere nulla, anche perché il caso dei ricercatori traditi è arcinoto all'interno dell'università di Catania, mentre a noi “esterni” basta aggiungere questo agli altri ormai innumerevoli che abbiamo raccontato in chilometri di bit.

 

Una piccola chiosa però la facciamo prima di dare la parola a chi sta subendo questa ennesima beffa.

 

Siamo, anzi sono, davvero dispiaciuto per come Francesco Priolo non sia riuscito a smarcarsi dalla pesantissima eredità di chi lo ha preceduto, non tanto Francesco Basile, anch'egli secondo me vittima sacrificale di chi ha preceduto lui e nei confronti del quale, confermando i motivi del più profondo disprezzo istituzionale ed umano, diverse sentenze hanno abbondantemente acclarato che avevamo ragione su tutti i fronti, nonostante querele temerarie, cause civili sconsiderate e persino vergognose vendette trasversali. Per le quali è stato anche condannato alle spese! Disprezzo totale! Neanche lo nomino.

 

A me Francesco Priolo fa anche simpatia, non l'ho mai trovato sgradevole nonostante il giornale sia stato tutt'altro che tenero nei confronti di gestioni che hanno portato l'ateneo tra i più antichi agli ultimi posti di tutte le classifiche mondiali.

Non so se ci sarà tempo per un colpo d'ala, per tentare di assestare almeno un segnale di discontinuità prima che il mandato si esaurisca.

Certo, la città dovrà scendere in campo per riprendersi una Università che è il patrimonio più importante di una comunità, rappresenta il futuro  e non è dignitoso che lo si riduca a pascolo di ruminanti con gente convinta che sia cosa loro: non è così e non dovrà esserlo più! 

La campagna elettorale già cominciata sarà da seguire con grande attenzione. (PDR)


Nell’estate del 2019, durante la fulminea campagna elettorale seguita al terremoto dell’inchiesta giudiziaria di “Università bandita” che aveva reso pubblici i metodi illegali e la corruzione diffusa nelle due precedenti governance di ateneo (i rettorati Pignataro e Basile), il candidato e futuro rettore Francesco Priolo, tra gli obiettivi del suo programma nel quale ambiva a “risollevare le sorti” dell’università catanese “attraverso la definizione di regole di assoluta trasparenza in tutte le attività, dal reclutamento al funzionamento della macchina amministrativa”, ne aveva indicato uno, in particolare, sul quale sarà bene focalizzare un attimo l’attenzione. 

 

Ma non prima di una breve premessa.

 

Ora che il mandato di Priolo è quasi giunto al termine è possibile fare un bilancio di tutto quello che il rettore aveva promesso e che non ha realizzato: l’ateneo di Catania, durante la sua governance, ha abbassato ulteriormente il livello scientifico e didattico come certificano i ranking sugli atenei italiani; il numero degli studenti iscritti (già in calo) si è ulteriormente ridotto; la trasparenza della macchina amministrativa non aveva mai raggiunto l’attuale livello di degrado, basti pensare che gli atti e le delibere del consiglio di amministrazione dell’ateneo che dovrebbero essere pubblicati sul sito sono secretati; il reclutamento di docenti e ricercatori ha proseguito secondo i metodi di cooptazione (non virtuosa) ma di raccomandazione di bassa lega (per non clientelare e familistica) delle precedenti gestioni, l’offerta dei corsi e delle materie appare vieppiù limitata che in passato, arretrata e non concorrenziale rispetto ad altri atenei d’Italia; e, infine, lo scontento del personale tecnico-amministrativo, umiliato e dimezzato, che dovrebbe essere invece il fiore all’occhiello di una macchina organizzativa di un ateneo che funzioni, risulta diffuso e palese.

 

Ebbene, di fronte a tutti questi obiettivi mancati, spicca, come si è accennato all’inizio, il caso della promessa fatta ai ricercatori a tempo determinato (di tipo b) perché in questo frangente la realtà ha ampiamente superato la più fervida fantasia. 

 

Proviamo a ricostruire questa vicenda che ha del surreale, per non dire del farsesco.

 

A pagina 19 delle Linee programmatiche del candidato Priolo, nell’agosto 2019, si poteva leggere: “Inoltre, sarà doveroso colmare la disparità di trattamento economico venutasi a creare tra i Ricercatori ex art. 24 c. 3 lett. b) L. 240/210 a seguito delle discrepanze tra la legge 240/2010 e i successivi piani di reclutamento straordinari di ricercatori. A tal proposito, bisognerà applicare, per equità e riconoscimento di pari dignità di trattamento, l’aumento del 20% del trattamento economico ed il riconoscimento degli arretrati a tutti gli RTDb in servizio in Ateneo, consentendo un equo e corretto riconoscimento dei contributi previdenziali a figure professionali identiche che svolgono le stesse mansioni”.

 

Di fronte a questa dichiarazione messa per iscritto, nero su bianco sul programma rettorale, i ricercatori hanno atteso fiduciosi l’insediamento, poi il primo anno di gestione, e come risulta da scambi di mail documentati, si sono sentiti dire da Priolo che presto avrebbe mantenuto fede a quanto promesso. 

 

E c'è anche il documento video:

Col passare del tempo però il rettore ha cambiato le carte in tavola e ha proposto di equiparare l’impegno di adeguamento stipendiale cioè l’aumento del 20% per gli anni di lavoro svolto a un fantomatico rimborso su fondi di ricerca. 

 

A questo punto, trascorsi altri due anni dalle promesse fatte, tenuto anche conto che numerosi altri atenei avevano prontamente recepito le disposizioni legislative ministeriali in materia, provvedendo a riconoscere a tutti i ricercatori a tempo determinato (lettera b), e non solo a quelli su fondi ministeriali del piano straordinario, l’adeguamento economico del 20%, i ricercatori coinvolti, dopo essersi prodigati nel tentativo di trovare una soluzione finanziaria adeguata a risolvere il problema posto (per esempio addirittura attraverso un piano di rientro rateizzato), nel 2022 decidevano di rivolgersi ad un avvocato e di depositare, in due tronconi diversi (in tutto una ventina sui quaranta, uno da 8 ricercatori e un altro da 12) un ricorso al Tribunale amministrativo

 

Nel maggio 2024 il Tar di Catania (sezione prima) si esprimeva con una sentenza che accoglieva il ricorso sottolineando l’inadempienza dell’ateneo su più fronti: omesso riconoscimento del trattamento migliorativo, violazione dell’art. 24 comma 8 della legge 240 del 2010, violazione del regolamento stesso per l’assunzione dei ricercatori approvato da Unict nel 2011 e violazione della Direttiva europea del 1999 in materia di iniquità e discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, nonché violazione di più articoli della Costituzione italiana in tema di ragionevolezza e imparzialità della pubblica amministrazione. 

 

Nessuna novità e tanto meno nessuna meraviglia per un ateneo ormai noto in tutto il mondo dopo i fatti di Università bandita di cui si sta celebrando, un po’ in sordina, il processo giudiziario. 

 

Già a questo punto del racconto appare evidente a tutti la scorrettezza messa in atto dal rettore Priolo nei confronti di questi ricercatori, dove l’opportunismo di aver fatto una promessa e di non averla poi in alcun modo mantenuta, la dice lunga sui modi di fare di questa governance che ha finito col calpestare impunemente la dignità del lavoro svolto, ma c’è di più. 

 

Poco tempo fa, ovvero nel luglio 2024, i “poveri” ricercatori vengono a conoscenza che Priolo ha dato mandato all’ufficio legale di proporre un appello da parte dell’ateneo contro la stessa sentenza del tribunale. 

 

La motivazione con la quale il rettore ha contestato quanto disposto dai giudici è, con chiara evidenza, di lana caprina (si è focalizzato addirittura sull’uso del termine stipendio “elevabile” piuttosto che “elevato”) e si fonderebbe sull’autonomia riconosciuta agli atenei dalla legge del 1989, e quindi sulla discrezionalità dei singoli atenei a utilizzare l’argomento stipendiale come “strumento per attrarre i migliori ricercatori in un mercato internazionale in cui si vuole rimanere competitivi”, salvo però dimenticare che questa azione (e argomentazione) va in palese contraddizione sia con quanto stabilito dalla legge 240 (che ha la supremazia sul singolo regolamento locale) sia con quanto pattuito dallo stesso ateneo nel suo regolamento che ha previsto per i ricercatori l’adeguamento stipendiale.

 

Inoltre fa alquanto sorridere pietosamente un rettore che utilizza l’argomento della meritocrazia stipendiale sul piano internazionale (ma senza rendere noti agli interessati i criteri di valutazione) per far risparmiare qualche euro (peraltro dovuto per il lavoro svolto!) all’amministrazione e che contemporaneamente elargisce prebende con soldi pubblici a destra e a manca ai concorsi e non muove un dito per controllare il regolare svolgimento fondato su trasparenza e merito nelle varie fasi del reclutamento (o quanto meno se lo fa i risultati non si vedono).

 

Dulcis in fundo (anzi amarus! per i poveri malcapitati), è giunta voce che in una recentissima delibera del consiglio di amministrazione riguardante proprio questo argomento il rettore abbia proposto un aumento del 1% (in sostanza un’elemosina, un pacchetto di sigarette!) in cambio del ritiro del ricorso da parte dei ricercatori. 

La beffa, dunque, l’umiliazione, oltre al danno. 

 

Purtroppo è sempre la solita storia. 

Si fanno tante promesse, tanti proclami, si finge di guardare lontana in cielo la luna per non guardarsi il dito, ovvero la realtà che si ha intorno. 

 

Una realtà che, per quanto riguarda l’università di Catania è ormai, a detta di tutti, totalmente fallimentare

E si finisce col rendersi ridicoli non solo davanti alla cittadinanza e davanti all’opinione pubblica, ma anche davanti agli occhi delle stesse persone che avevano illusoriamente o ingenuamente creduto alle promesse fatte. 

 

Siccome è già tempo di campagna elettorale per l’elezione del nuovo rettore e se ne sentono sparare di grosse (ad esempio, la prospettata “tenure track” o anche una proroga automatica di centinaia di nuovi ricercatori a tempo determinato di tipo a), è bene che la comunità accademica (e anche la società civile che dovrebbe seguire attentamente il suo svolgimento) si attenga solo ed esclusivamente ai fatti. 

 

Fatti purtroppo desolanti e incresciosi come questo, infamanti per chi dovrebbe rappresentare solo temporaneamente una istituzione accademica ultracentenaria, ma che fotografano meglio di qualunque altra cosa mentalità e metodi di chi ha finora gestito e continua a gestire l’università di Catania come qualcosa di personale o di familiare.

 

Un altro elemento, in questo caso un vero debito morale, che si unisce al lascito complessivo davvero disastroso e fallimentare per il futuro rettore.


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