Immaginate l’Arabia Saudita, il Kuwait, l’Oman o gli Emirati Arabi.
Chiudete gli occhi e potete pensare solo a due cose: i giganteschi palazzi lussuosi ed esagerati, oppure il deserto.
Tutta questa distesa è il al-ṣaḥrāʾ al-ʿarabiyya o deserto arabico.
C'è il Rub' Al-Khali, una distesa di sabbia grande il doppio dell'Italia che estende il Sahara verso est fino alla penisola araba.
Dall'altra parte, a nord, sotto Giordania e Iraq, si trova il deserto del Nefud, il cui nome in arabo significa "Grande Duna di Sabbia".
Avendo queste informazioni a nostra disposizione, ci chiediamo: “Ma loro come fanno a non rimanere senza acqua?”
La Sicilia sta affrontando l'ennesima grave siccità, con conseguenze significative per l'agricoltura e la popolazione.
La Conferenza Stato-Regioni ha riconosciuto le "condizioni di forza maggiore e circostanze eccezionali" per tutta l'isola dal luglio dello scorso anno a maggio, permettendo alle aziende agricole siciliane di continuare a ricevere sostegno economico e rinviare pagamenti e sanzioni.
Lo stato di emergenza di rilievo nazionale è già stato dichiarato, la Regione Sicilia ha richiesto ulteriori interventi a causa della riduzione delle risorse idriche nei laghi artificiali, che ha compromesso l'irrigazione.
La produzione agricola e del settore dell'allevamento è prevista essere almeno dimezzata nel 2024 rispetto all'anno precedente.
2 dei 5 milioni di abitanti della Sicilia stanno subendo razionamenti dell'acqua potabile, con situazioni particolarmente difficili nell’ovest e nel sud dell’isola, dove sei bacini su ventinove non hanno più acqua utilizzabile.
Ad Agrigento, l'acqua viene distribuita con autobotti ogni 15 giorni e la Marina militare ha inviato una nave cisterna per aiutare la provincia.
A Caltanissetta, dove l’acqua manca da 46 giorni in alcune zone, il sindaco ha chiesto ai cittadini con pozzi di metterli a disposizione degli altri.
A Palermo, è stato approvato un piano per ridurre la pressione dell'acqua, con possibili razionamenti dal 5 agosto.
Torniamo in Arabia Saudita.
Tutti i paesi della penisola araba utilizzano i dissalatori, alimentati dall'energia solare, per garantire l'approvvigionamento idrico rispettando persino i parametri di inquinamento.
Quindi: “L'Arabia Saudita può permettersi questa tecnologia incredibile, noi no.”
E qui ci sbagliamo, perché questo è un processo talmente poco costoso che viene utilizzato anche in alcune parti dell’Africa Sub-sahariana.
Cosa serve per farli funzionare?
Che la nazione (o regione) confini con il mare e che il sole batta su dei pannelli fotovoltaici.
Noi disponiamo di un dissalatore fermo da 12 anni a Porto Empedocle.
Il paragone con l’Arabia Saudita è una provocazione che serve da stimolo, non tanto ad investire quantità di denaro enormi, ma ad avere un occhio critico e l'umiltà di guardare anche le soluzioni degli altri paesi, spesso più in difficoltà di noi.