Qual è il colmo per un esercente?
Veder chiudere la propria attività commerciale perché frequentata da troppi clienti.
Quella che verrebbe vista come un’ironia della sorte è, invece, proprio ciò che sembra accadere sempre più spesso nelle vie e nelle piazze del nostro comprensorio, nelle quali si ricerca una “pubblica sicurezza” che spesse volte, però, dimostra di essere un trofeo piuttosto scivoloso da agguantare.
Dall’inizio dell’anno, il Questore della città metropolitana di Catania, Giuseppe Bellassai, non ha certamente potuto far prendere polvere al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza e, in particolar modo, alla pagina che ospita l’articolo n.100; in questo specifico punto si legge, infatti, che “[…] Il questore può sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini.”
Proprio sotto disposizioni del Questore, tra gennaio e luglio di questo 2024, gli agenti di Polizia dei commissariati di Nesima e di Borgo Ognina hanno in effetti apposto i sigilli su diversi chioschi-bar situati nei quartieri catanesi di Cibali, Picanello e San Cristoforo, sospendendo temporaneamente le attività di questi esercizi commerciali per una durata pari a 7 giorni.
Le motivazioni alla base di queste chiusure sono da attestare agli “interessi” di alcuni individui diventati clienti habitué dei locali in questione: furti, rapine, spaccio di sostanze stupefacenti, fino a reati come l’associazione a delinquere di stampo mafioso.
In particolare, la sospensione temporanea dell’attività di un chiosco-bar di Picanello, scattata nel maggio scorso, deriva dall’assidua frequenza da parte di soggetti sottoposti a misure di sorveglianza speciale.
Ma, d’altronde, non si tratta nemmeno del primo caso del genere nello stesso quartiere.
A passare alla cronaca è, però, un episodio avvenuto nell’aprile 2023: all’ombra di un chiosco del librinese viale Nitta, esplode una lite tra degli avventori che si trovano sul posto per sorseggiare bevande; subito dopo, ad esplodere sono pure dei colpi di pistola, che raggiungono e feriscono il proprietario del chiosco, intervenuto per sedare la rissa.
Pubblica sicurezza, dicevamo.
Se è indubbio che questi episodi avvengono maggiormente negli angoli delle grandi città, come quella dell’Elefante, è anche vero che la loro cadenza pare farsi più ricorrente pure in quelle cittadine dell’hinterland dalle dimensioni più “modeste”.
Negli ultimi mesi, anche nelle comunità di Santa Maria di Licodia, Biancavilla e Adrano, luoghi fortemente stretti nelle mani di clan affiliati alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, si registrano infatti diverse “improvvise” chiusure di attività commerciali del genere.
A fine gennaio 2024, i poliziotti del commissariato di Adrano danno esecuzione di temporanea sospensione ai danni di un bar della cittadina.
In seguito ad una serie di operazioni di monitoraggio, in effetti, degli agenti avevano identificato svariati clienti del locale aventi “precedenti per reati di particolare gravità e allarme sociale”,specialmente reati contro il patrimonio.
Nella stessa occasione, un individuo viene tratto in arresto per il possesso di un’arma da fuoco, un fucile a canne mozze, a cui era stato abraso il numero di matricola: l’uomo, in compagnia di altri sei soggetti indagati per spaccio e altri precedenti giudiziari, usava fare la spola tra lo stesso bar e la piazzetta antistante.
In che modo i comuni cittadini possono giudicare la sicurezza del territorio, vista la proliferazione delle emissioni di questi decreti?
Quant’è insicura la sicurezza delle nostre città?