L'ultimo episodio è della settimana scorsa.
Una dottoressa in servizio presso il pronto soccorso del Garibaldi Centro è stata aggredita e quasi strozzata da uno delle decine di familiari e amici di un giovane deceduto in terapia intensiva che hanno assaltato e messo a fuoco letteralmente la struttura sanitaria.
L'intervento delle guardie giurate presenti ha evitato un epilogo ancora più drammatico, ma è stato necessario l'impegno degli agenti della polizia in tenuta anti sommossa per riportare l'ordine e mettere in sicurezza il presidio: roba da matti.
Fatto sta che questo genere di episodi nei vari pronto soccorso della città, sempre più violenti e pericolosi, cominciano ad essere ricorrenti, seminando il panico tra operatori che già svolgono una professione che li mette sotto pressione per le enormi responsabilità che comporta avendo a che fare con emergenze critiche ad ogni minuto di ciascun turno: ci mancano solo delinquenti e psicopatici che li aggrediscono.
In occasione di quest'ultimo fatto, abbiamo incontrato i vertici del dipartimento dell'Emergenza del Garibaldi Centro, il direttore Giovanni Ciampi ed il direttore del Pronto Soccorso Santo Bonanno.
L'aria è pesante ma il personale continua a correre da una stanza all'altra, la sala è come sempre piena: non c'è tempo per lamentarsi, ci sono vite da salvare ad ogni minuto, persone da curare in ogni caso, anche se molte dovrebbero trovare altre soluzioni, ma i Pronto Soccorso sono diventati l'ultima frontiera di un sistema di un sistema sanitario abbandonato a se stesso, che non funziona e che nessuno di chi dovrebbe pare si occupi per tentare di farlo funzionare, anzi.
I due dirigenti, Ciampi e Bonanno, sono avviliti ma anche più che determinati ad uscire dall'angolo: del resto chi sceglie di lavorare in un Pronto Soccorso sa sin dall'inizio che non è professione per mammole, ma neanche ci si deve rassegnare al martirio.
La sensazione comune è che le varie istituzioni che dovrebbero trovare soluzioni risultano a dir poco “distratte”, al di là di qualche solidarietà di circostanza non si rinviene nulla di concreto.
Il riconoscimento arriva invece nei confronti del questore Giuseppe Bellassai, che ormai ha un canale diretto con il pronto soccorso ed interviene sempre con tempestività grazie agli agenti al suo comando, ma non è certo una questione di polizia, per quanto indispensabile garantire un presidio costante di uomini in divisa che, almeno nella maggior parte dei casi, possono fungere da deterrente nei confronti quanto meno dei facinorosi.
Ma la vera questione, sostengono Ciampi e Bonanno, è essenzialmente culturale, denuncia una decadenza dei valori sociali, di comunità, che diventano sempre più allarmanti, pericolosi: “Se si arriva a picchiare chi ti cura in camice bianco, allora davvero stiamo superando ogni limite”.
Che si può fare?
Certo, il posto di polizia H24: occorre fornire le questure di risorse finanziare e umane dedicate a fronteggiare quella che è ormai una vera e propria emergenza.
La presenza della vigilanza privata rimane essenziale, ma non viene riconosciuta come autorità pubblica e quindi nei confronti dei più delinquenti diventa quasi un incentivo all'esercizio di una maggiore violenza.
Ma, torniamo al nucleo fondamentale: la cultura del rispetto ormai saltata ad ogni livello sociale.
E, nel silenzio o insipienza degli ordini professionali ed amministrazioni varie, i medici del Pronto Soccorso del Garibaldi Centro, con l'idea di coinvolgere anche i colleghi degli altri presìdi, decidono di scendere in campo direttamente e senza filtri: “Andremo nelle scuole, a spiegare ai ragazzi ed alle loro famiglie quello che facciamo, come siamo impegnati ogni momento per essere pronti a curare e salvare proprio loro, ciascuno di loro. Proveremo a far capire che non ha proprio senso reagire con violenza o mancanza di rispetto nei confronti di chi sta provando a risolvere problemi che può capitare non abbiano soluzione e non certo per colpa loro”.
I due dirigenti hanno già chiaro in mente quello che può diventare un vero progetto divulgativo, un ciclo di incontri da organizzare nelle scuole, quelle del quartiere di riferimento, in cui medici ed operatori sanitari possano raccontare ai più giovani ed alle loro famiglie in cosa consiste l'attività dell'emergenza sanitaria, quanto sia importante per la comunità e per ciascuno di loro, come sia necessario ripristinare le regole più elementari del reciproco rispetto, come sia essenziale che certe attività si svolgano nella massima serenità possibile non aggravata da incresciose barbarie: i minuti persi per fronteggiare le aggressioni sono minuti sottratti a chi ha bisogno di cure immediate, si blocca l'attività del pronto soccorso e qualcuno può rimetterci la vita perché qualche delinquente pensa di potersi fare ragione con la violenza.
Già parlandone il progetto prende forma, magari con l'impegno dei media locali, la realizzazione di video da far girare su social e scuole stesse, una grande campagna di comunicazione sociale: i Pronto Soccorso, gli Ospedali sono patrimonio di tutti e di ciascuno.
Insomma, proviamoci: noi ci stiamo.
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