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Anche in Sicilia, anche da noi, lo sfruttamento ed il caporalato: la normalità di guadagnare spezzando uomini

01-07-2024 06:30

Giacomo Petralia

Cronaca, Focus,

Anche in Sicilia, anche da noi, lo sfruttamento ed il caporalato: la normalità di guadagnare spezzando uomini e donne

La morsa degli ingranaggi: in Sicilia si stima siano almeno 40 mila i lavoratori sfruttati in condizioni di semi schiavitù in almeno 53 località

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Qual è il costo di una gamba? C’è differenza di prezzo tra due o tre dita di un piede e quelle di una mano? E un intero braccio, invece, quanto vale?

 

Tra gli strettissimi ingranaggi del caporalato, uno dei più degradanti e radicati meccanismi nel panorama italiano della manodopera, tutto si riduce a dei semplici numeri. 

D’altronde, per degli stretti ingranaggi, non è affatto difficile schiacciare dei semplici numeri.

 

“Il nome della verità”

Il nome “Satnam”, considerato di grande importanza e potere, è un termine che deriva dall’unione dei vocaboli sanscriti “sat”, che sta ad indicare la realtà suprema, e “nam”, ossia “nome” o anche “ricordo”. 

Questo nome può essere quindi tradotto liberamente con l’affascinante espressione “il nome della verità”.

 

Lo scorso 17 giugno, il trentunenne indiano Satnam Singh , bracciante agricolo in alcune campagne della periferia di Latina, viene abbandonato in strada dal proprio datore di lavoro. 

Poco prima, il macchinario avvolgiplastica a rullo, di proprietà dell’azienda per cui lavorava, aveva bloccato un braccio a Satnam, tranciandolo di netto, e spezzando al giovane anche gli arti inferiori. 

Chiamare i soccorsi avrebbe attirato attenzioni indesiderate, per cui il datore di lavoro decide di portare e scaricare un agonizzante Satnam davanti all’abitazione di quest’ultimo, posizionando poi il braccio reciso del ragazzo sopra una cassetta per la raccolta degli ortaggi.

 

Senza un arto e con le gambe spezzate, il giovane bracciante è inutile: “tanto è già morto” annuncia, in effetti, il datore di lavoro, proprio di fronte ad altri operai. 

 

A nulla valgono i soccorsi, contattati dopo un’ora e mezza dal tragico incidente, e il trasporto d’urgenza all’Ospedale San Camillo di Roma: dopo un ricovero in prognosi riservata, Satnam muore il 19 giugno , lasciando per sempre l’amore di una moglie, la speranza di un permesso di soggiorno in Italia e il desiderio di un figlio a cui, magari, avrebbe dato un nome tanto importante e potente quanto il suo.

 

Nessun contratto né permessi di soggiorno; niente pause adeguate né acqua corrente; turni da oltre 9 ore al giorno per incassare una paga da neanche 200 euro al mese: questo il “modello di business” di Renzo Lovato, “indagato per caporalato già dal 2019” e titolare dell’azienda agricola per cui lavorava Satnam Singh. 

Sulla morte del suo operaio indiano poco più che trentenne, Lovato commenta: “ha commesso una leggerezza che è costata cara a tutti”. Semplici numeri.

 

La morsa degli ingranaggi

“La morte di un lavoratore agricolo indiano avvenuta nei giorni scorsi a Latina, che si aggiunge ai decessi registrati nel recente passato nella nostra Isola […] ha acceso nuovamente i riflettori sul caporalato e sullo sfruttamento lavorativo”: queste le dichiarazioni di Nuccia Albano, assessore regionale al Lavoro e alle Politiche Sociali, diffuse con un comunicato del 25 giugno 2024 sul Portale della Regione Siciliana.

 

Nella stessa informativa si pubblicizzano i buoni risultati raggiunti da “P.I.U. Su.Pr.Eme.”, un progetto che punta a mettere in atto misure sia in favore dell’integrazione socio-lavorativa dei migranti sia di contrasto allo sfruttamento del lavoro in agricoltura. 

 

A fronte di 230.000 lavoratori sfruttati a livello nazionale e circa 40 mila stimati in Sicilia, di cui anche il numero di donne in costante aumento, negli ultimi 3 anni gli operatori dell’Help Desk anti-caporalato di “Su.Pr.Eme.” hanno risposto a ben 10.000 chiamate di ascolto da parte di vittime di sfruttamento, e hanno preso in carico più di 2.000 casi* da tutta Italia.

 

D’altra parte, però, le campagne della Sicilia , regione capofila di questo progetto interistituzionale (che vede la collaborazione anche di Basilicata, Campania, Puglia e Calabria) rimangono i "luoghi con la più alta incidenza del fenomeno del caporalato".

 

È il 30 settembre 2021 quando un incendio divampa nell’ex cementificio Calcestruzzi, situato tra Campobello di Mazara e Castelvetrano e popolato esclusivamente da migranti economici, ingaggiati dai proprietari terrieri della zona come braccianti a basso costo per la raccolta delle olive. 

 

Molti riescono a sfuggire alle fiamme tranne il quarantunenne Omar Baldeh , inghiottito dalle fiamme mentre dormiva sul tetto della baraccopoli.

 

A fine 2023, a seguito di un’indagine coordinata dalla Procura locale, sedici persone del comune di Caltanissetta vengono iscritte nel registro degli indagati per “sfruttamento del lavoro e caporalato” : queste reclutavano i braccianti in centro città per poi destinarli al lavoro nelle campagne di Palma di Montechiaro, Ravanusa e Sommatino, trasportandoli a bordo di furgoni. 

 

Gli agenti coinvolti segnalavano la totale mancanza di visite mediche obbligatorie e di dispositivi di protezione individuale a beneficio dei lavoratori i quali, ricevendo il salario, avrebbero dovuto destinarne una parte al caporale stesso.

 

Nel maggio 2024, il gip di Catania predispone l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria nei confronti di un trentunenne di Adrano: secondo l’accusa, pare che l’uomo usasse “prelevare degli immigrati clandestini” dalla tendopoli di Contrada Ciappe Bianche, a Paternò, facendoli salire su un camioncino, per portarli a raccogliere arance su campi agricoli sia di sua proprietà che di terzi. Candidamente, l’adranita poi afferma che, se si tratta di guadagnare, “è normale commettere quel tipo di reati”.

Inchiesta sul caporalato in Sicilia: tra sfruttamento e condizioni disumane

Ogni anno, sono già sei le edizioni, l'Osservatorio Placido Rizzotto pubblica il Rapporto Agromafie e Caporalato, il prossimo è atteso per l'autunno.

 

Nell'ultimo vengono individuate ben 405 località in cui lo sfruttamento ha dimensioni critiche, in Sicilia sono 53.

 

Nell'isola, il fenomeno del caporalato continua a rappresentare una piaga profonda e radicata, con diverse aree dell'isola segnate da episodi di sfruttamento lavorativo e umano. La mappa del caporalato comprende luoghi come Vittoria, Cassibile, Trapani e Paternò, dove le condizioni di vita dei lavoratori migranti sono spesso indecenti e inumane.

 

Vittoria, un passato di orrori sessuali

A Vittoria, in provincia di Ragusa, dieci anni fa scoppiò un caso che fece scalpore: le braccianti rumene erano costrette non solo allo sfruttamento nei campi, ma anche a subire violenze sessuali. Le conseguenze furono drammatiche, con numerosi figli nati e un altissimo numero di aborti. Nonostante le inchieste e il tempo passato, le donne rumene sono ancora vittime di abusi, costrette a partecipare a festini per soddisfare i caporali e i loro amici. Lo denuncia Bilongo, evidenziando come la situazione, pur leggermente migliorata, rimanga critica.

 

Cassibile, il dramma dei raccoglitori di patate

Ogni anno, da aprile a giugno, Cassibile, frazione di Siracusa, vede l'arrivo di diverse centinaia di migranti, principalmente di origine marocchina e sudanese, per la raccolta delle patate. A fronte di circa 5.000 residenti, il piccolo comune si trova a gestire una notevole affluenza di lavoratori stagionali. Sebbene venga aperta una struttura di accoglienza, molti di questi migranti vivono in condizioni inaccettabili, privi dei servizi essenziali e costretti a sopravvivere in alloggi di fortuna.

 

Trapani, sgombero nell’ex cementificio

A maggio scorso, l'area dell'ex cementificio 'Calcestruzzi Selinunte' a Castelvetrano, in provincia di Trapani, è stata sgomberata. Ogni anno, centinaia di migranti sub-sahariani occupavano questa zona per lavorare nella raccolta delle olive. Nonostante il loro contributo fondamentale alla filiera olivicola, questi lavoratori vivono in condizioni disumane, privi di acqua potabile e servizi igienici adeguati.

 

Paternò, il ghetto di contrada Ciappe Bianche

In contrada Ciappe Bianche, a Paternò, le condizioni di vita dei migranti impiegati negli agrumeti della Piana di Catania sono altrettanto drammatiche. Qui, viveva Mouna Mohamed, bracciante marocchino ucciso da un connazionale a febbraio 2024 in una stazione di servizio. I lavoratori, sfruttati per pochi euro al giorno, sono costretti a vivere in ghetti sovraffollati e privi dei servizi minimi indispensabili.

 

Un appello per la dignità e i diritti umani

Questi esempi illustrano una realtà che non può essere ignorata. Il caporalato in Sicilia rappresenta una violazione dei diritti umani che richiede un intervento immediato e deciso. È indispensabile che le autorità locali e nazionali adottino misure concrete per garantire condizioni di vita dignitose e il rispetto dei diritti dei lavoratori migranti, fondamentali per il tessuto economico dell'isola.

E quindi, qual è il costo di una gamba? Un braccio, invece, quanto vale?

 

E che prezzo ha una vita intera?

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