Manifestare è simbolo di libertà, sanità e sincerità e, dalla manifestazione, si misura lo stato di salute di un paese.
Se la manifestazione non viene soppressa, significa che il paese tiene che, pur con dissenso, il cittadino esprima la propria opinione e non bisognerebbe mai prendere esempio da “democrature” alla Orbàn.
Insomma, manifestare è cosa buona e giusta e questa mai dovrebbe essere compiacente. La protesta, per sua natura, dev’essere scomoda.
Tuttavia, proprio nel rispetto di chi manifesta, devono sorgere delle domande:
Ma quanto è importante tenere conto delle condizioni nelle quali si manifesta?
È utile tenere conto della carica semantica del luogo dove si manifesta?
Quanto è sottile la linea che divide una manifestazione da un evento goliardico e privo di ogni scopo?
Perché, se ci fermiamo a riflettere un attimo, i manifestanti sono ai Benedetti in delle tende, che suonano chitarre, bivaccano e certamente ci sarà qualche spunto di discussione interessante, ma tutto questo cosa c’entra con le vittime in Palestina?
L’università, con l’ascensore sociale bloccato e la classe che da proletaria sta passando a precaria (poiché non c’è prole) è un luogo a tutti gli effetti di borghesia. L’università è la casa della cultura, sì, ma anche del benessere.
E allora gli studenti che, lecitamente, possono e devono manifestare, devono farsi due domande:
“Siamo solidali alle vittime?”
“Cosa stiamo aggiungendo al dibattito?”
Mentre quello che si vede è molta provocazione fine a se stessa e voglia di fare “n’pocu di buddellu”, mascherata da una causa importantissima e che necessita di una discussione politica che non venga inquinata da questi fattori.
Si manifesti, si faccia casino se si vuole, ma siano chiare almeno le motivazioni del perché si è lì a manifestare.
Vedere “cena + karaoke” e “pranzi sociali” per solidarietà a chi sta soffrendo di fame e sta subendo attacchi come non mai è (quantomeno) di cattivo gusto.
Non viene quindi giudicata la lecita e giustissima manifestazione per la pace, ma le modalità e la semanticità di questa.
Non basta sventolare la bandiera palestinese con delle velleità un po’ punk e gridare qualche slogan.
Bisogna studiare, leggere e capire le motivazioni di quello che sta succedendo e bisogna farlo con austerità e senza voglia di apparire. E per quanti dibattiti, film, seminari si possano proporre, ci si ritirerà (fortunatamente) nelle proprie case al sicuro e, una volta finita la manifestazione, l'Università prenderà nuovamente quel significato borghese e sarà ripopolata dagli stessi manifestanti.
Si manifesti, ma con consapevolezza ed onestà intellettuale.