Non è una diceria quella che, andando nei quartieri brasiliani, ci si ritrova a vedere case coloratissime, murales e altre opere d’arte.
Questi escamotage servono a non spaventare troppo i turisti e rendere più accogliente la zona che, in realtà, è estremamente malfamata.
È evidente che Catania stia andando verso questa direzione.
Ci ritroviamo da una parte questo bellissimo murales, primo segno della gentrificazione inesorabile che sta per abbattersi su tutta la zona, e, ad appena 70 metri, un degrado totale del quartiere.
Non edulcoreremo nulla:
un cartello luminoso blu con scritto “aperto”, uguale a quello che si può vedere nel più squallido dei paninari, appeso a un balcone con una prostituta che fa da vedetta.
Poi i passanti ci sconsigliano di andare in una traversa se non siamo in cerca di eroina.
Ancora, panifici e piccoli esercenti genuflessi moralmente ed economicamente difronte all’utenza terribilmente marcia che gira in quei luoghi.
Gli unici che fanno fortuna sono i centri scommesse, tronfi di aver trovato pane per i loro denti.
Ma cos’è la gentrificazione?
La gentrificazione è il processo di trasformazione di aree urbane da proletarie a borghesi a causa dell'acquisto e della rivalutazione immobiliare da parte di individui più abbienti.
Il fenomeno è alimentato dall'attrazione di persone con redditi più alti verso tali zone, seguita da investimenti nelle infrastrutture locali e da un aumento del benessere economico e della sicurezza.
Insomma, parte della zona di San Berillo o Piazza Scammacca, .
Però fermiamoci a riflettere:
Se il ceto medio-alto acquista case in un quartiere malfamato e degradato, è vero sì che lo riqualifica, ma che ne sarà degli abitanti meno abbienti?
E soprattutto, si può parlare di riqualificazione quando viene nominata San Berillo, Corso Sicilia o via Luigi Sturzo?
Il signore intervistato vive lì a San Berillo da 30 anni e alla domanda:
“Si vive bene qui?”
Non può che rispondere:
“Se ti fai i c**zi tuoi, sì”
Questa non dovrebbe essere una risposta da “quartiere riqualificato”, da 50 anni non è cambiato nulla, un quartiere dove si spaccia, c’è prostituzione ed è piena di microcriminalità.
Qualche via all’interno del quartiere si salva, ma la stragrande maggioranza dell’isolato è lasciato a se stesso.
Se il ricco fagocita queste zone, chi è originario del quartiere sarà costretto ad andare via, non solo per una sciocca questione morale di preservare la cultura o la tradizione proletaria, (quelli non sono che esercizi di stile) ma andranno via perché non possono più permettersi di stare lì.
La movida si accende di notte, i prezzi si alzano a dismisura, la distanza culturale tra i “turisti del Corso Italia” e gli autoctoni è abissale e arriviamo alla conclusione: esilio forzato.
Quindi a chi è originario del posto non resta che oscillare tra la spazzatura, l’inefficienza dei controlli e, tra poco, i prezzi degli affitti che schizzeranno alle stelle. (Chr.Cost.)
A premere sulla gola di chi vive, e non abita soltanto, il *Corso Sicilia*, è un profondo sentimento di decadenza, un vizioso impoverimento che ha trasformato la “strada della finanza catanese” in un agglomerato urbano anonimo, tanto socialmente quanto economicamente.
Sedi amministrative e operative, sia pubbliche che private, del tutto scomparse; la presenza delle attività e dei negozi rimasti non riesce a sopperire (e d’altronde neanche dovrebbe) alla mancanza di interesse da parte delle istituzioni, dileguatesi da più di 20 anni da una delle vie più centrali del capoluogo etneo, proprio a pochi passi da Piazza Stesicoro.
Girando e tagliando qualche angolo, già molto prima di entrare nel quartiere di San Berillo, si fa spazio una sensazione ben diversa: un degrado tanto sfrontato che, a differenza del quartiere, non sembra invece avere angoli.
La gravità della situazione non traspare soltanto dai cumuli di spazzatura a bordo strada, come si può ben vedere ad esempio in *via Luigi Rizzo*, quanto dall’amarezza nelle parole di un anziano che rilascia delle frasi senza fraintendimenti: qui si è isolati, pur essendo a due passi da Via Etnea.
Non c’è molto da poter fraintendere, in effetti: in questa zona di Catania, in preda al più totale abbandono, le comunità di immigrati tirano a campare come possono tra spaccio, prostituzione, ricettazione e una presenza delle forze dell’ordine ridotta ai minimi storici.
Nemmeno polizia e carabinieri osano sbilanciarsi e arrivare oltre al *San Berillo District*.
Chi vive qui da anni cerca di avvertire quei pochi turisti che passano, magari in cerca di monumenti o luoghi di svago nel circondario, anche con l’aiuto di traduttori o di chi mastica anche un minimo le lingue straniere: certe vie è meglio considerarle “off-limits”.
A Catania, secondo diverse statistiche uno dei luoghi più assolati e visitati del sud Italia, i locali si ritrovano a dover mettere in guardia gli stranieri su dove e quando andare.
I tentativi incerti di riqualificazione, come la nascita del *museo ReBa* in via Buda di diversi anni fa, non sono più sufficienti.
Non basta gridare di amare Catania quando si aspira al potere, bisogna anche prendersi cura delle sue tante fragilità. (Gia.Pet.)
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