Dopo 18 opere ambientate in Sicilia, l’autore porta la sua narrazione al Nord, nella pianura padana, (terra della famiglia materna), con il romanzo “Pas de Sicile, ritorno a Candora”, pubblicato da Ianieri Edizioni per la collana “Le Dalie Nere”. Racconta un contesto di cui l’autore conosce perfettamente la fisionomia umana, elemento che affiora nel suo racconto.
“Je est un autre” comincia con questa frase di Arthur Rimbaud, l’incipit del romanzo di Domenico Cacopardo Crovini, siciliano nato a Rivoli (Torino) da padre messinese e da madre emiliana, vissuto e cresciuto a Messina e a Letojanni.
«Perché Cacopardo [...]Intitola questo romanzo Pas de Sicile, nel senso di Basta Sicilia? Sarebbe più preciso dire Pas de Sicile au moins pour un certain temps, intendendo così che per ora basta Sicilia e poi, dopo un indefinito lasso di tempo, vedrà (vedrò)».
I 18 romanzi che precedono questo lavoro sono tutti siciliani, sotto il profilo dell’ambientazione, dei personaggi e dei fatti narrati. L’autore decide di misurarsi con una storia “asiciliana”, progetto che rappresenta un’innovazione personale.
L’intento del romanzo è di far emergere la verità della storia di una famiglia, delle sue ricchezze, delle sue miserie: una vicenda padana, mediante la quale l’autore non intende “rompere il cordone ombelicale con l’isola, ma navigare in un mare nuovo. Anzi in un fiume, il Po”.
«Ho avuto questo caso tra le mani che mi ha molto colpito perché dietro la reticenza dei familiari non immaginavo ci fosse una questione così grave dal punto di vista umano e storico come quella della espropriazione dei beni e degli effetti di lucro che hanno ricevuto per alcune famiglie siciliane. Non credevo di aver scritto un giallo, scrivo storie che attraversano un periodo storico del nostro paese, della nostra isola, non mi sento di catalogare il mio romanzo, è un libro che entra nel merito di una questione storicamente gravissima del nostro paese».
Domenico Palardo, magistrato in pensione e alter ego dello stesso autore, ricopre il ruolo da protagonista, da insigne uomo di legge si trasformerà in scrittore detective animato da un’incrollabile passione per la verità.
Incaricato dal Comune di Candora (evocativo del candore dei suoi abitanti) di coordinare il volume celebrativo per i cento anni della Costituzione del Comune stesso e scrivere il saggio di apertura su Siro Sieroni, personaggio che ha favorito lo sviluppo economico del paese.
L’uomo si imbatterà in segreti inconfessabili e vicende irrisolte inerenti la famiglia dell’imprenditore, che diverranno spunto per un’indagine serrata, in cui verrà coinvolta l’intera comunità paesana e un figlio illegittimo di Sieroni.
Indagando su colui che dovrebbe omaggiare, Palardo ne apprende infatti la pochezza e la falsità. Un delitto inaspettato, infine, costituirà ulteriore tassello d’indagine da inscrivere nel quadro già intricato degli eventi.
Quali le analogie e le differenze tra Domenico Palardo e l’autore? Domenico Cacopardo, al riguardo, dichiara:« la mia esperienza è romanzata, a differenza del mio protagonista, non ho avuto attentati, la sostanza della storia è reale e vissuta in prima persona, raccontata mettendo di mezzo un nom de plume ma senza nasconderlo».
Nello sviluppo della narrazione costante è la dialettica tra privato e pubblico, con un rimando dall’uno all’altro, spesso mediato dal ricordo, ma non per questo meno presente alla mente dell’uomo di legge, che trova nella giusta sanzione il mezzo per ristabilire l’equilibrio nel caos di sentimenti più deprecabili.
Di fondo, serpeggia evidente l’amara ironia per il passato e per il presente che ripropongono entrambi alcuni evidenti vizi nazionali, come l’ipocrisia, l’adulazione dei forti e dei potenti e soprattutto il conformismo.
Comincia così la seconda parte del romanzo, intitolata “Il giorno della memoria” e sono proprio due versi della lirica di Ungaretti “Risvegli” a dare il via in perfetta forma poetica a un nuovo passaggio della narrazione:
Ogni mio momento/ io l’ho vissuto/
un’altra volta/ in un’epoca fonda/ fuori di me.
Domenico Cacopardo è un siciliano appassionato di Quasimodo, Ungaretti e Saba, la scelta di questi richiami alla poesia avviene spesso anche in altri libri che ha scritto.
Di seguito un piccolo estratto della seconda parte:
È trascorso tanto, troppo tempo dall’ultima mia vi-
sita a Candora, il paese in cui sono vissuto, lavorandoci
come segretario comunale – primo impiego – dal 1957 al
1962, quando risultai diciottesimo su 40 vincitori di un
concorso romano e pronunciai l’addio al remoto centro
di provincia padana e ai suoi abitanti.
Spesso, non spessissimo, ho meditato su un ritorno a
Candora per incontrare gli amici ancora in vita e rivede-
re quei luoghi, osservando i cambiamenti avvenuti nei 61
anni di assenza.
Poi è giunto il 27 gennaio 2023, Giorno della memo-
ria. Per uno di quei disguidi che possono capitare in ogni
mestiere, mi sono ridotto a mandare il mio pezzo dedi-
cato a quella ricorrenza proprio il 27, talché l’articolo è
uscito il 28 gennaio, l’indomani.
La domanda è rivolta allo stesso autore:”La scrittura delle sue opere a quale esigenza risponde, cosa anima profondamente la sua scelta”?
«Quando scrivo sono molto rapido, prendo spunto da elementi magari di cronaca, la storia nasce e si sviluppa da sola, a quale mia esigenza risponde? Se dovessi dire di me stesso come la penso, risponde a un'esigenza etica, nella mia vita ho lavorato tanto, ho incontrato la vita per com’è, uomini e donne come sono realmente, spesso l’aspetto maligno della vita, prevale e lo fa con successo, rispondo a una mia esigenza personale.
Quando ero un ragazzino fui fulminato da due libri “Conversazioni in Sicilia “ di Elio Vittorini e l’altro che mi ha spinto a proseguire è “L’età della ragione” il primo romanzo della trilogia “I cammini della libertà” di Jean-Paul Sartre che mi hanno aperto la testa rispetto al fenomeno dell’esistenzialismo, a vivere la vita e a raccontarla in modo esistenzialista.
Questa sarebbe la mia più intima ambizione».
Questo “Ritorno a Candora” con Pas de Sicile è un racconto che potremmo definire esistenzialista, perché cerca di entrare nell’esistenza per com’è, raccontarla com’è e non come vorremmo che fosse.